Cucina Sonora (alias Pietro Spinelli) è ad oggi tra i giovani producer più promettenti del panorama elettronico italiano.
Ho avuto modo di ascoltare la musica di Pietro Spinelli, in arte Cucina Sonora a Milano, al Ride, in una serata di Le Cannibale. Nome dietro al quale girano due personaggi che non hanno bisogno di presentazioni in città, in quanto tra gli organizzatori di eventi più interessanti ed eclettici degli ultimi anni: Albert Hofer e Marco Greco.
Ad attirare la mia attenzione sono state immediatamente le note di questo pianoforte, del quale Pietro è diplomato, che lo sta suonando esibendo la sua ultima uscita: dormiveglia.
Il tutto unito ad una miscela di elettronica strutturata, ipnotica e che è davvero difficile classificare, o inserire dentro un genere. Ancora meno lo è ricondurla dentro ad una sonorità già sentita o riferibile ad un artista conosciuto.
Motivo che, neanche a dirlo, ha attirato la mia attenzione immediatamente, tanto da doverlo senza ombra di dubbio, portarlo su Parkett.
Pietro Spinelli per poi diventare Cucina Sonora nasce con un diploma in conservatorio come Pianista e una Bachelor of Arts in Electronic Music Production presso la dBs Music School di Berlino.
E’ così che è iniziata la nostra conversazione qualche sera dopo esserci conosciuti, parlando della sua primordiale formazione musicale. Ma è solo dopo aver trascorso ore a parlare di musica, che mi sono reso conto che non era più un’intervista, ma un racconto e un’esposizione di fatti ed esperienze unite ad aneddoti della sua vita artistica, che ne è emerso un eloquio davvero unico. Abbiamo parlato per più di due ore come se ci conoscessimo da anni, tanto che l’intervista preparata passò magicamente in secondo piano.
Le undici domande diventarono improvvisamente, superflue! Non c’era bisogno di altro. Cucina Sonora è un libro dentro il quale è possibile pescare aneddoti sul pianoforte di Bach, e venti secondi topo commentare la copertina di un album di Burzum, senza averlo chiesto. Stupendo!
Ho deciso quindi, non me ne voglia, che sarebbe stato davvero troppo riduttivo racchiudere le oltre due ore di conversazione in una banale intervista domanda/risposta; fredda e comune.
E cercare di sintetizzare quello emerso dalla lunga chiacchierata. Perché Pietro tutto è tranne che scontato, sia dal punto di vista umano che artistico, per parlarvi della sua musica come abbiamo fatto quella sera; senza sosta e facendovi conoscere un artista in continua ricerca di se stesso, che si ispira a se stesso, e che è un inarrivabile e ossessivo cacciatore di suoni.
Pietro ha questa innata e sotto diversi aspetti strana dimensione spazio conoscitiva che costituisce uno degli elementi principali della nascita della sua musica; che la vuole legata a una sensazione di totale libertà e assenza di restrizioni.
Una miscela tra tecnica e caos, tra ricerca e sperimentazione di nuove sonorità e nuove tecnologie, tra il pianoforte classico, che inizialmente quasi odiava durante gli studi, e i suoni che vi stanno al di là delle mura dove vive e produce.
Alla domanda “che cosa ti ha ispirato vivere a Berlino dal punto di vista musicale?”. La risposta è stata: “niente. Anzi sono contento di averci vissuto perché ho capito da cosa non dovevo essere influenzato“.
Unico. Sincero. Reale. Esattamente come la sua musica.
Ed è esattamente per questo che il suo stile non è inseribile in nessun genere; e preferirebbe anche lui non lo fosse. Del resto, la rincorsa ad essere necessariamente etichettati dentro una parentesi sistematica e definita, non è uno dei passi necessari che cercano gli artisti veri per evolversi e trovare la propria “Confort Zone”. Un aspetto importante infatti, oggi, è proprio non definirsi completamente, ma riuscire ad avere comunque una propria identità. Ed è questo che emerge ascoltando i brani di Pietro.
Cucina Sonora prende forma nel 2014 da un’idea di Pietro, classe 1992, di Firenze e Francesco Scatizzi (etichetta indipendente Toys for Kids Records). Nel 2016 esce il suo primo EP, progetto che prende il nome dal suo artista: Cucina Sonora. Lavoro primordiale e che per primo unisce le sonorità classiche del pianoforte ai sintetizzatori; e che ebbe un discreto successo confermato anche delle sue esibizioni Live.
Nel 2017 pubblica il suo primo LP: Evasione. Altro passo importante verso la sua definitiva crescita musicale. In molti considerano le sue sonorità influenzate (citando i cattivi maestri) da artisti come Aphex Twin (versione Ambient), Jean Michel Jarre piuttosto che John Hopkins, Nicolas Jarre, Nils Frahm e Francesco Tristano, artista che tra l’altro adora. Ed inizialmente ascoltandolo può confondere molti, ma solo perché tutti questi artisti hanno come comune denominatore, il fatto di aver legato il pianoforte all’elettronica. Cosa che anche io inizialmente ho apprezzato molto, ma che con stupore dopo averlo sentito a Milano, ho associato a qualcosa di più fresco, di nuovo e decisamente meno mainstream.
“Paragonare gli artisti tra loro in base alla strumentazione che suonano è sbagliato, perché secondo questo criterio Burzum è uguale a Lucio Battisti. Cantano e usano la chitarra.”
Ed è per questo motivo che tracce come Dissolution per citarne una a caso, non è inseribile in nessuna categoria e avvicinabile a nessun artista. E’ un esercizio di stile, di schema, di sperimentazione. E’ completa, è tecnica, è sogno. Uno di quei pezzi dentro il quale ci trovi solo forse lontanamente qualcosa dei Carbon Based Lifeforms piuttosto che Not Lars o Atticus Ross. Tutti artisti dalle sonorità prevalentemente nordiche e tutti uniti dall’amore per il pianoforte e l’elettronica.
Ascolta qui Golem (Cucina Sonora Remix) uscita sull’etichetta di Riccardo Noè nell’album CABAL Remixes (SYNTHEKE Records)
Ma è scavando dentro le sue tracce che arrivi a percepire che Pietro si pone delle personali sfide tecniche, per il solo gusto di farlo e per poi costruirci intorno la propria casa, o se vogliamo, il proprio animale guida. Il tutto influenzato da quello che vede, che vive, che ascolta e che studia!
Le sue note scivolano leggere lungo le sue dita al pianoforte che suona magistralmente, ed è come essere davanti all’ingresso di un viaggio dentro i propri ricordi, ma con un passo sempre orientato al futuro; l’elettronica che usa sono le creazioni di musica concreta che articolano il vero e proprio cuore pulsante delle sue opere. Delle protesi perfette, paradossali ma che hanno una realtà logica o una spiegazione di base legata ad un elemento che emerge in tutto quello che crea: l’equilibrio.
Cucina Sonora si propone come se fosse un’artista visionario, perché di fatto lo è, anche sul piano morfologico, mutando strutturalmente come una specie di alchimista i suoi strumenti, a seconda delle esigenze e dei suoni che intende riprodurre.
Le sue sono percezioni trasformate in musica, per far sì che un brano si incarni in noi. Visioni che emergono dal basso per liberarsi incontrollate nella consapevolezza, che emergono da un processo autopoietico (un sistema che ridefinisce continuamente se stesso e si sostiene e riproduce dal proprio interno) che, come sul piano onirico, permette loro di comunicare attraverso un linguaggio nuovo.
E questo accade anche per chi lo ascolta da neofita, ancora prima di avere delineato il percorso estetico e concettuale delle tracce o di aver giudicato la produzione o la scelta di certi suoni.
Il 28 gennaio uscirà “onironauta” per l’eticetta indipendente INRI e Sugar (Andrea Bocelli, Negramaro, Motta e molti altri), e sarà il sequel dei due singoli precedenti, il cui tema è sempre la notte.
Il suo lavoro conferma così di essere un’opera neoclassica complessa e lontana anni luce da un’elettronica facile, che spesso non oltrepassa i contenuti concettuali come quelli che riguardano la sola sperimentazione.
Cucina sonora con la sua musica spalanca la porta a se stesso e ai suoi ascoltatori, ponendo tutti davanti a una vera e propria porta universale. Quasi a voler dire: questo sono io, entrate pure, buon ascolto!
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