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My Zone è lieta di presentare The Ladder Cloud Thing: un progetto di sperimentazione sonora, formato dai due musicisti della provincia romana: Michele di Martino e Filippo Nardini

The Ladder Cloud Thing è un duo formato dai musicisti romani Michele di Martino e Filippo Nardini, il cui approccio creativo è basato interamente sulla percezione e sull’interiorizzazione delle emozioni. Suoni eterei e voci labili sono il punto di forza delle loro composizioni, atte a creare un forte trasporto emotivo e un momento di profonda riflessione. I loro brani sfociano in un ambient crudo e lacerante, abitato da suoni primordiali, in grado di ricollegarci ai nostri luoghi di origine, alla nostra Terra: foglie che cadono; venti favorevoli; orizzonti lontani. The Ladder Cloud Thing racconta la vita.

Oggi, Michele e Filippo sono qui con noi, pronti a parlare di sogni, illusioni e futuro. Il loro secondo EP, The Man Who Died Twice”, è stato pubblicato il 5 Novembre sull’etichetta indipendente TLCT RECORDS ed è distribuito dalla berlinese Muting The Noise.

“Un manifesto alla caducità della vita e dell’amore, una discesa di emozioni che trasformano quotidianamente il nostro io interiore”.

Photo Credit: Erica Bellucci

Benvenuti nella rubrica My Zone di Parkett. Sono contento di avervi qui: il vostro è un progetto che, grazie alla sua prorompente carica emotiva, mi ha colpito fin da subito. Innanzitutto come state? Mi piacerebbe sapere come avete affrontato questo “ritorno alla vita”.

Ciao Andrea, grazie per averci dato spazio in questa rubrica. Al momento stiamo bene. Confusi, ma felici… potremmo dire. Passare da due anni in cui tutto era fermo – concentrati perennemente su noi stessi – alla normalità frenetica e delirante del mondo di tutti i giorni, ha avuto un impatto notevole sulle nostre vite. Scrivere musica ci aiuta a rallentare un po’ questa frenesia, almeno per alcuni momenti, che cerchiamo di far nostri più che mai.

La vostra musica è come se raccontasse di esperienze passate, desideri latenti, osservazioni dettagliate, riuscendo a coinvolgere e trasportare – con delicatezza – l’ascoltatore in uno spazio vuoto, riempito poi di memorie e immagini sfocate. Questa è la conseguenza dell’autenticità. Mi viene da chiedervi: quanto è difficile rimanere se stessi, “aprirsi” e scavare nel profondo, in un mondo sempre più lontano e spietato?

Essere se stessi è difficile, molto difficile, nella società di oggi. C’è sempre un modello da imitare o un modo diverso in cui devi comportarti, in ogni contesto. Allontanarsi dal mondo forse è proprio la chiave per un’autenticità personale. Quando non si sente il peso del paragone, e si è soli con se stessi e la musica, si possono scoprire lati della nostra personalità e necessità che non credevamo di avere. Aprirsi emotivamente aiuta a capire che siamo tutti uguali, che abbiamo tutti delle sofferenze e delle battaglie interiori da non dover sottovalutare. Aprirsi in un mondo lontano può quindi essere il primo passo per riavvicinarlo. L’empatia che si può creare con la musica diventa potente in questo senso.

I suoni che utilizzate – pad caldi, voci distanti, riff eterei – trascinano in un limbo che riporta all’origine. Quando ascolto la vostra musica, sento di galleggiare sulle onde di un mare calmo, circondato da vette all’orizzonte che mi proteggono. La vostra musica sembra parli anche di amore materno…

Vogliamo che i suoni abbraccino l’ascoltatore. Già nel caso del nostro primo EP “Safe Place”, il concetto di amore materno – visto come appunto “posto sicuro”; luogo in cui sentirsi a proprio agio, amati e compresi – era preponderante. Siamo molto trasportati da questo sentimento di certezza delle possessioni fisiche ed emotive: le persone che amiamo, i luoghi che abbiamo vissuto e che sanno di casa, i suoni e gli odori che richiamano ricordi. Ci piace pensare che la nostra musica possa diventare un rifugio dalle incertezze e dalle paure. Un piccolo spiraglio di luce, quando tutto sembra dirigersi verso il buio.

Ecco, parlando di rifugi e certezze: quanto è stata importante la città di Roma per la vostra musica e crescita personale? Aggiungo: è possibile allontanarsi con la sola immaginazione, immergendosi nei pensieri e realtà più remote, oppure occorre necessariamente un luogo fisico – distante – che vi faccia sentire al sicuro?

Roma è la nostra culla e il centro delle nostre prime esperienze, di vita in generale e musicali. Vivere la scena musicale underground romana ha senz’altro influenzato le nostre scelte e i nostri gusti. Ma non neghiamo il fatto che a volte ci è stata stretta come città, nonostante ne siamo follemente innamorati. In quei momenti abbiamo pensato di evadere… e lo abbiamo anche fatto! Ma sempre qui siamo tornati e questo penso non sia da sottovalutare. Ma il luogo sicuro, quello che veramente intendiamo noi, deve essere in primis nella nostra mente: stare bene con noi stessi, con i nostri ricordi e le nostre nostalgie.

Ci sono altre città italiane che hanno influenzato il vostro percorso o in cui vivreste per un’ulteriore crescita artistica?

Sì, certo! Abbiamo avuto però percorsi di vita e necessità diverse nel corso degli anni e della nostra amicizia. Per uno, Amsterdam, è stata la città dove evadere e conoscere la libertà, l’indipendenza. Per l’altro, Berlino, centro nevralgico della scena musicale elettronica e casa di tanti amici essenziali per la crescita professionale. Se dovessimo scegliere però un luogo in cui pensiamo di poterci evolvere artisticamente, credo che quasi sicuramente opteremmo per Londra. Ci affascina molto la scena musicale inglese, soprattutto per quanto riguarda il mondo underground. Ha un non so che di nostalgico e allo stesso tempo estremamente moderno, che ci affascina e stimola dal punto di vista creativo.

È da tempo ormai che assistiamo sempre più frequentemente alla violenza gratuita dell’uomo ai danni della natura, nonostante questa non sia altro che l’estensione della nostra interiorità. Quando lo capiremo e cosa secondo voi potrà migliorare le sorti del nostro pianeta?

Il problema principale secondo noi è che ormai ci muoviamo in massa, per tutto. E seppur, come si dice, l’unione fa la forza, in questo caso è anche dal singolo che dovrebbe partire il cambiamento: da ciò che mangiamo a ciò che indossiamo, a quanto responsabilmente smaltiamo i nostri rifiuti. La società in cui viviamo ci bombarda di slogan ecologisti, ma poi ci ritroviamo con le strade decorate di immondizia: servirebbero cambiamenti radicali nell’approccio personale ed istituzionale. Dobbiamo imparare a rispettare il nostro pianeta attraverso personali azioni quotidiane e spronando il prossimo tramite queste. Può sembrare utopico ma non lo è, perché azioni congiunte portano a risultati effettivi.

Ma veniamo a noi: The Man Who Died Twice, cosa vi ha spinto a comporre un nuovo disco? E cosa si cela dietro questo titolo enigmatico?

La spinta creativa nasce sempre da un nostro bisogno di comunicare qualcosa. Con questo titolo avevamo voglia di esprimere quei momenti bui della vita, fatti di perdite e delusioni che ci spengono le emozioni. Quegli apparenti punti di non ritorno che ci portano a un cambiamento. E iniziamo allora ad andare alla ricerca di una luce. Di un’inattesa rinascita, risalendo dal buio.

Portate avanti anche progetti paralleli, dunque vi chiedo: quanto è importante per voi essere poliedrici e pronti a trasformarvi e a raccontare il vostro essere attraverso suoni e armonie diverse?

Essere poliedrici per un produttore è fondamentale, poiché lavorare in diversi mondi musicali aiuta a capire come meglio potersi esprimere tramite la musica. Per noi il progetto The Ladder Cloud Thing è stato forse l’apice della nostra espressione artistica. Ci sentiamo liberi senza schemi nel raccontare e mettere a nudo noi stessi.

 Photo Credit: Pietrus Piotr | Art Director: Nate Brown 

Con quali strumenti vi sentite più a vostro agio in studio e sul palco?

Utilizziamo principalmente tastiere synth e sequencer sul palco e il computer è un strumento fondamentale. In studio invece usiamo anche strumenti classici; la chitarra per esempio è sempre fonte di necessari spunti melodici. E registriamo molto con registratori digitali, field recordings nella natura o in situazioni urbane.

Quali artisti della scena elettronica e non hanno segnato il vostro cammino? 

Veniamo da due background musicali diversi e sono tanti gli artisti che ci hanno influenzato, citando Debussy, Chopin, Dalla, Battisti, Adam Wiltzie (“Stars of the lid”, “The dead Texan”, “Aix em klemm”) Bjork, Warren Ellis, Kyle Bobby Dunn, Jeff Buckley, Luaryn Hill. E potremmo continuare ancora..

Obiettivi e sogni…

Al momento costruire un nostro studio dove poter lavorare e continuare a scrivere musica. Poi ci interessa molto il mondo del cinema e poter produrre una colonna sonora sarebbe bellissimo e creativamente interessante.

Off topic: abbiamo visto negli ultimi giorni ciò che è successo in parlamento in seguito all’affossamento del DDL Zan. Perché nel 2021 siamo ancora così chiusi mentalmente? Di cosa abbiamo paura? Inoltre, vorrei sapere se pensate che l’artista possa essere – politicamente parlando – un vero “rivoluzionario”, la voce dei più deboli. Colui il quale si esprime realmente per ciò che è, senza secondi fini, con lo scopo di rappresentare una parte di mondo ormai sempre più distante…

Purtroppo in Italia c’è ancora troppa paura del diverso. Sono convinto che non sarà la decisione di quei pochi a fermare questo processo di cambiamento sociale. La cosa più triste è vedere persone che decidono le sorti di un intero paese, alimentando tra la popolazione delle idee discriminatorie e false su argomenti di cui nemmeno conoscono il peso emotivo. L’arte invece è veramente rivoluzionaria, e così lo sono gli artisti ogni volta che si esibiscono. L’arte crea empatia e unione.

 

Grazie per essere stati con noi.