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Guxi, Matteo Rama per intimi e parenti: figura di spicco della scena romana, grandissimo cultore di sonorità ricercate e non convenzionali e in ultimo – ma non per importanza – affamato collezionista di musica dall’influenza più stravagante.

Il tutto, nel complesso, trinomio fondamentale cui assurge la sua figura artistica.

Qualora vi confessiate attivi frequentatori, da qualche anno ad oggi, della Night Life capitolina, le probabilità che i suoi dischi non vi siano già passati in rassegna è decisamente scarsa; dal 2011 il contenuto delle sue valigette ha coccolato le più importanti dancefloor della scena, dal Circolo Degli Illuminati, al Lanifico 159, senza dimenticare di far sosta tra le pareti del leggendario Piper.
Per ogni luogo che Guxi visitasse valigie in spalla, il pubblico è rimasto viziato da un’espressione fluttuante su di un territorio dai permeabili confini tra House, (Nu)Disco, Afrobeat, Jazz e Rock; quell’identità caleidoscopica mai così evidente come nelle sue stesse produzioni e prima di tutto funzione di un’imprescindibile ed invidiabile cultura self-made sapientemente coltivata dalla giovanissima età ed arricchita via-via col trascorrere dell’esperienza.

Sono queste appena elencate allora, nelle loro infinite ed appassionanti sfumature, le chiavi di lettura fondamentali di un performer quali Guxi: ottoni, grassi riff di basso elettrico e caldissimi vocal presi in prestito dalla tradizione Black, sono il tris d’Assi vincente; tre, come il polinomio messo in chiaro sin da subito in apertura di questa presentazione; tre, come il numero perfetto.

Voraci di poter sapere altro, siamo direttamente entrati in contatto con Guxi, felici di poter sapere di più sulla sua persona, sul ruolo che lo riguarda e su qualche altra personale percezione del mondo ad egli stesso circostante.

Guxi, in ordine di voler affondare un primo fermo presupposto, ci piacerebbe ripescare e lasciarti commentare un’imponente (almeno a nostro avviso) affermazione lasciataci dal sempre verde Claudio Coccoluto in occasione di una recentissima intervista registrata dinanzi le nostre telecamere. Volendo inquadrare in toni ultimi lo status del DJ, il tuo collega ha dichiarato con spiazzante umiltà: “Siamo vestali della musica, guardiani dell’ascolto”, frase che ha fatto innamorare di sé tutti i presenti in sala.
Condividi una tale posizione? Anche tu riconosci questa carica pseudo-sacerdotale a ridosso del tuo ruolo?

Assolutamente si. Questa definizione sacrale di Coccoluto mi piacerebbe collegarla o per meglio dire contaminarla con la figura dello Sciamano, già oggetto interpretazioni musicali esotiche e occidentali. Il parallelismo non è poi così esagerato. Tramite i dischi giusti si può portare il pubblico in sala in estasi e quando accade l’emozione che si vive è una cosa che lascia il sorriso e l’adrenalina per parecchi giorni dopo. Si. Il dj può essere il guaritore saggio che tramite la sua attività magica guarisce le persone. Chiaro, sto parlando in chiave metaforica, ma l’attività del dj può influenzare in bene o in male la serata di uno spettatore interessato o disinteressato che sia. Questa posizione non deve comunque farci dimenticare una cosa: il dj è al servizio del pubblico e, per la mia impostazione, il pubblico va seguito e assecondato. Il segreto è farlo senza mai viziare il proprio stile ma accettando piccoli compromessi al momento giusto. Insomma mantenere l’equilibrio tra la figura sacerdotale e bracciante della musica è un obiettivo da tenere sempre a mente.

Opinione abbastanza comune all’interno della comunità elettronica è che tra gli addetti ai lavori coinvolti in quest’industria (da promoter, a label owners, fino ai DJs) si sta pesantemente soffrendo di uno sterile passivismo fomentato dalla sola spasmodica rincorsa del trend di costume, atteggiamento completamente disinfettato ed asettico da una dimensione invece che coinvolga e attragga a sé uno spirito di intraprendenza che rintracci in una pura motivazione “all’innovazione” il suo unico performante motore. Posto che anche per te sia così, esiste un altro ordine di ragioni cui addebitiamo questo stallo al di fuori delle risapute dinamiche dettate dai tessuti 2.0 quali social e affini?

Il passivismo si combatte con la ricerca e con la curiosità che sono la chiave dell’innovazione. Oggi tendiamo in tutto ad omologarci, non solo nella musica, ma anche, ad esempio, nell’abbigliamento. L’omologazione può farci sentire a nostro agio, essere uguale agli altri farci sentire accettati e avere l’illusione di non essere messi in discussione. Nascondersi nella moltitudine e nell’omologazione credo sia una questione che prima poi tutti affrontiamo coscientemente o meno. Ci si nasconde a volte dietro strade già percorse da altri per paura di sperimentare ed eventualmente di fallire. Purtroppo i fallimenti, i passi falsi, sono visti con molto timore e quindi vengono evitati. In realtà sono la strada, non obbligatoria, ma eventuale, per combattere il trend di costume. Un esempio di questo meccanismo, declinato nel mondo della musica, lo troviamo nel modo in cui la musica viene venduta sulle piattaforme digitali. Top chart, classifiche di ascolti, top 10, la stessa differenziazione dei generi musicali (House techno nu disco), sono un modo per semplificare e per far credere che quei dischi siano meglio di altri e quindi farci sentire sicuri dell’acquisto.
Che dire, ci vuole carattere! Creare il proprio percorso di ascolti, avere un rapporto con il proprietario del negozio di dischi sotto casa, parlare e confrontarsi con gli altri djs e produttori, registrare i suoni originali, rischiare nel mettere un disco particolare durante una serata, sono le cose che, sconfiggendo la pigrizia, permettono un evoluzione, una crescita. Consideriamo poi che l’innovazione o per meglio dire l’evoluzione è continua e inarrestabile. Basti pensare alla figura del dj, che nelle sue tante declinazioni storiche, ha subito e sta subendo grandi variazioni: le produzioni vanno di pari passo alla possibilità di esibirsi di fronte ad un pubblico. Sarebbe pertanto una visione miope e alla lunga perdente, rimanere attaccati ai propri dogmi e alle proprie certezze.

In una dimensione parallela, dove ti saresti visto? quale sarebbe stata la storia di Matteo Rama se Guxi non fosse mai esistito?

Io già vivo una dimensione parallela. Con gli amici si scherza spesso dicendo che sono affetto dalla sindrome Bruce Wayne…Come Bruce infatti, ho due vite parallele, giorno avvocato/notte dj che funambolicamente alterno fin quando non mi presenterò in tribunale con la borsa dei dischi e in discoteca in giacca e cravatta. A parte questo rischio, che per ora sono riuscito ad evitare, riesco a convivere con queste importanti passioni della mia vita.

Studio, DJ Set e ricerca musicale: professionalmente parlando, tra tutte le infinite attività annesse al tuo lavoro, quale/i delle tante continua/no a suscitare in te l’emozione più forte?

In tutte e tre trovo momenti emozionanti e alle volte deludenti. Le attività di questo trinomio Studio/Djset/ricerca si intersecano costantemente influenzandosi a vicenda ed è la cosa più naturale che ci sia.
Per quanto attiene il lato della produzione in studio, mi emoziono quando, sperimentando, andando a braccio, esce qualcosa che ha il suo perché e che, nella maggior parte dei casi, fatico a ripetere. Quando succede preferisco non razionalizzare, lasciare che il percorso creativo che mi ha portato a quella traccia rimanga per me stesso un semi mistero. Questo è il motivo per il quale, a breve saranno pubblicate delle release con sonorità del tutto lontane da quelle che fino ad oggi hanno caratterizzato le mie produzioni. Riuscire ad essere pubblicato su label delle quali sono stato prima di tutto fan è altrettanto entusiasmante: a breve uscirà un Ep sulla Slow Motion! L’emozione c’è anche quando mi trovo a rimettere mano a grandi classici e dischi che, così come sono, sono perfetti e hanno solo bisogno di alcuni piccoli accorgimenti per essere attualizzati o per suonare meglio.
Mi rende poi particolarmente felice esibirmi in contesti che amo e che ho seguito da sempre. Ultimamente sono stato parecchio contento di essere stato inserito nella programmazione dello Spring Attitude così come di aver partecipato al progetto 180gr. La ricerca musicale invece è una costante. A volte mi premia con la possibilità suonare dischi che prima non conoscevo. C’è così tanta buona musica da scoprire, che non farlo sarebbe un peccato!

Come testimonianza di quanto fin’ora detto, a rassegna per le vostre orecchia è qui proposta in un’unica playlist un’offerta musicale più che mai veramente rappresentativa; giusto prima si faceva cenno di “ottoni, grassi riff di basso elettrico e caldissimi vocal presi in prestito dalla tradizione Black”, un marker identificativo di pregevolissima gamma nonché (ribadiamo) marchio di garanzia bollato sulla sua figura.

RE EDITS vol.2 by GUXI