Abbiamo il piacere di presentarvi Jacopo Varen, in arte V111, dj e producer di Massa, resident del Galactica Festival.
Jacopo Varen, aka V111, è un dj e produttore techno italiano. Inizia a muovere i suoi primi passi nel mondo della notte con lo pseudonimo Varen, che però, nel 2015, si trasformerà nel suo attuale alias, con il quale rilascerà il suo primo EP “Shapless” sulla iDark Rec. Pubblica diverse uscite fino ad arrivare, nel 2017, sulla LDNwht, dove la sua musica prenderà forma – per la prima volta – su vinile. Non contento del suo percorso, il dj di Massa decide di fondare Overdrive (techno underground solution), insieme a BoscoSoundLight e Terminal Plastik: una serie di party in cui arte visiva e potenza musicale si fondono, dando vita ad un’unica e straripante forza sonora.
Instancabile lavoratore, Jacopo riesce a suonare, per il secondo anno consecutivo, al Galactica Festival NYE di Bologna. Nel 2020, anno caratterizzato dalla pandemia e dalle impossibilità, si focalizza sulla produzione in studio, dando vita a nuova musica che uscirà su etichette affermate come Suara e Pushmaster. Poco dopo, con la ripartenza delle attività musicali in Italia, si riconfermerà in eventi di spicco come il Monsterland Festival a Ferrara e inizierà a suonare nello storico club Cocoricò di Riccione. Non solo, V111 entrerà a far parte di una delle label più influenti nella scena techno internazionale: la Rekids di Radio Slave.
Oggi, Jacopo è qui con noi.
Ciao Jacopo e benvenuto su Parkett. Come stai vivendo questo ritorno al club dopo due anni particolari come quelli appena trascorsi?
Ciao Andrea, grazie, è un gran piacere essere qui. É un periodo molto produttivo per me. Sto vivendo il tutto con grande entusiasmo e con una voglia incredibile di poter tornare a vivere il club senza più restrizioni, mascherine, green pass e capienze limitate.
Come ti sei avvicinato alla musica elettronica? Quali artisti ti han portato a dire: “Ok, da grande voglio fare questo?”
Allora da dove iniziamo… A 11 anni ascoltavo Radio Mare Imperiale, una radio locale che trasmetteva in diretta le serate che si svolgevano al Duplé – locale storico di Massa – caratterizzate, nella maggior parte dei casi, da un un sound progressivo. Da lì nacque la mia curiosità verso questo mondo e così iniziai registrare queste serate intere su cassette, che poi finivo per mixare fra loro, selezionando naturalmente solo i brani che mi piacevano. A 13 anni scoprii l’unico negozio di vinili rimasto nella mia città, un posto piccolissimo, in cui il proprietario vendeva vinili techno e fu lì che scoccò la scintilla: iniziai a comprare dischi per poi lasciarli lì in negozio, perché non avevo ancora un giradischi a casa per poterli riascoltare. Questo fino a quando, a 18 anni, riuscii finalmente a comprarmi 2 giradischi stra usurati e un mixer, che funzionava 1 volta su 10, ma tutto ciò non mi fermò e cominciai a imparare a miscelare le tracce fra loro.
Indiscutibilmente chi mi ha portato a decidere di voler fare questo da grande sono stati gli artisti che ho ascoltato nelle prime registrazioni su cassetta e sui vinili comprati, ho tra i miei capisaldi di infanzia artisti come Jeff Mills, Dave Clarke, Mike Banks, ma anche artisti più vicini alla mia persona, che ho avuto modo di vedere all’opera, perché alla fine penso che siano quelli che veramente riescano ad indirizzarti da piccolo: li puoi vedere, li puoi sentire. Non importa se siano big o meno, potrebbe essere anche il panettiere dietro casa che mette i dischi per passione, e tu hai avuto modo di ascoltarlo, decidendo così poi di intraprendere un percorso musicale.
Cosa significa per te “fare techno?”
Per me fare techno significa vivere la vita in un certo modo, non riguarda solo il fattore produttivo musicale di genere, perché vedi la techno per me non é una moda, perché ha un tessuto sociale di trascorso e derivazione che é impegnativo. È un genere che, quando lo fai, é come se tu ti stessi mettendo in spalla uno zaino pieno di tanta roba manifestata negli anni: uguaglianza, lotte sociali, etc. Per fare techno devi aver studiato la storia dell’underground, perché, ogni volta che suoni, porti un messaggio con te.
Dove senti di esprimerti al meglio: in studio, mentre componi e sei assorto nei tuoi pensieri, o sul palco, mentre mixi dischi e percepisci l’energia del pubblico?
Sono due cose che viaggiano di pari passo, perché quando produco immagino che effetto possa avere in pista ciò che sto realizzando in studio e che tipo di energia o reazione possa scatenare un certo suono sul dancefloor. Ho bisogno di entrambe le cose, non ne prevale una sull’altra. Diciamo che utilizzo le tracce che ho prodotto per “raccontare” la mia storia, un viaggio.
La serata più bella in cui hai suonato, per adesso, e perché.
Per adesso la serata più bella si è svolta il 4 Dicembre 2021, la mia prima volta al Cocoricò, un locale che sognavo da piccolo, un sogno nel cassetto che grazie ai ragazzi di Uncode (Pier Catalano, Antonio Mazzotta, Nicola De Candia), con i quali collaboro ormai da anni e che hanno sempre avuto fede nel mio sound, ho potuto realizzare.
Quanto ha influito la tua città Massa nel plasmare il tuo essere artistico?
Massa é una città che ha le sembianze di un grande paese, di fatto é una città ma ci conosciamo comunque tutti. Penso che sia uno dei posti più belli in assoluto: immagina di essere a dicembre, sei a fare una passeggiata sul mare in spiaggia e dietro di te hai la neve, ragion per cui sai che, mentre sei lì al mare, puoi decidere di andare a sciare. Non so se mi spiego.
Tuttavia non offre molto a livello di possibilità in questo campo, per cui se vuoi prenderti qualche soddisfazione all’interno del settore riguardante l’underground, devi iniziare a guardarti intorno e fuori di qui, anche se cose davvero interessanti sono state create negli anni da noi in questa zona e non senza enormi sacrifici.
È un contesto sociale che ti testa e ti spinge a cercare gli stimoli dentro di te e non ti nego che qualcosa vorrei riprovare ad organizzare.
Quando componi musica, parti già con delle idee ben radicate nella tua mente, quindi sai cosa cerchi, o tiri semplicemente fuori ciò che hai dentro in quel momento?
In studio cerco di mettere ogni tipo di emozione nella musica e, infatti, non a caso, tutti i titoli delle mie tracce o addirittura pubblicazioni intere sono dedicate a qualcosa, qualunque sensazione o idea possa venirmi in mente. Solitamente, so più o meno ciò che voglio ottenere quando entro in studio, proprio perché svolgo un costante lavoro di ricerca sui suoni e faccio molto sound design, da qui ne deriva anche una profonda ricerca e studio sulle emozioni. Cerco di capire a che tipo di sound possono essere abbinate.
Come sei riuscito ad arrivare su una label tanto importante come quella di Radio Slave: La Rekids? Quanti sacrifici dietro a questo traguardo?
Rekids é sempre stato un sogno un po’ proibitivo, uno di quei traguardi che ti porta a pensare “chissà se succederà”. Conoscevo già Radio Slave, grazie a un evento svoltosi nella nostra zona; fatto sta che nel primo anno di pandemia ho prodotto un Ep per Suara Music, con il quale sono entrato subito nella classifica techno e in poco tempo ho raggiunto la prima posizione, riuscendo a rimanere lì stabile circa un mese. E’ lì che ho ricevuto un messaggio da Radio Slave, il quale si è congratulato con me per la prima posizione e mi ha chiesto poi di mandargli musica per Rekids.
Calcola che in quel periodo lavoravo in fabbrica e, quando ho ricevuto quel messaggio, erano le 4 di notte: stavo prendendo il caffè alla macchinetta, nella zona relax della fabbrica, una decina di minuti prima di entrare in turno. La mia reazione penso sia stata un qualcosa di teatrale: immagina una persona stanca, perché si é alzata alle 3 di notte per andare a lavoro in fabbrica, che sta prendendo il caffè al distributore automatico – non il più buono del mondo – e riceve una richiesta del genere.
Quindi per RSPX (rekids special project) ho tirato fuori 4 tracce incentrate sul mondo dell’erotismo dei giochi e pratiche erotiche ed è stato davvero bello e soddisfacente poter lavorare al 100% su un argomento del genere, abbinare emozioni, stimoli e suoni – anche titoli ovviamente – e vedere il mio lavoro essere poi accettato in etichetta.
I tuoi progetti futuri: su quali dischi stai lavorando e cosa ti aspetti di vivere nei prossimi mesi?
Ho chiuso da poco un nuovo ep per Etruria Beat fatto a 4 mani (o orecchie) con il mio amico Manuel Di Martino, 3 original tracks ed un gran remix dei Boston 168.
Un remix per Franky Effe sulla sua etichetta, e una traccia per il prossimo Pushmaster di Mattia Trani alla quale tengo particolarmente, perché Mattia é un grande amico e professionista, abbiamo un’amicizia che va anche oltre i confini musicali.
Inoltre, sto cercando di ottimizzare lo studio di registrazione, sul quale ho una certa fissazione e stiamo cercando di chiudere qualche data futura (qualcosa c’è già in programma ma per ora no spoiler, facciamo gli scaramantici).
Grazie per essere stato con noi.
Grazie a voi!