Anche quest’anno, dal 2006 ,il Nextech Festival ha il merito di portare la musica elettronica al vasto pubblico fiorentino: tre giornate all’insegna di un bilanciato compromesso tra sound sperimentali, talenti italiani emergenti e techno diretta che coinvolge folle oceaniche; ma procediamo con ordine.
La prima serata si svolge il 10 Settembre nella splendida cornice della Sala Vanni, in Piazza del Carmine.
Si parte con 30 minuti di ritardo ed una sala semivuota, nonostante il consistente sconto concesso dall’organizzazione a chi avrebbe acquistato l’abbonamento per tutte e tre le giornate del festival. Petit Singe è un nome di cui si chiacchiera ancora troppo poco: in particolare il suo ultimo EP, Tregua, è stato veramente una bella sorpresa. Il suo live però, di soli 30 minuti e senza visuals, purtroppo somiglia più ad una carrellata di tracce che subentrano con una dissolvenza una dopo l’altra e non riesce ad immergere il pubblico nei suoi tribalismi, complice anche il modesto impianto audio: è evidente che deve ancora maturare parecchio nella gestione dei live. Roly Porter ha con sè un assistente che gestisce degli interessanti visuals DIY, e riesce ad ipnotizzare il pubblico imbastendo un live senza compromessi, anche se pure il suo breve, con una dark ambient con incursioni industrial sempre più pressanti, che talvolta sfociano in situazioni ai limiti del noise. Azzeccata la scelta di mettere il pubblico a sedere visti i ritmi, sia di Petit Singe, che di Roly Porter, decisamente fuori dagli schemi e dai ritmi del dancefloor. L’impianto audio purtroppo non è stato all’altezza nè degli intensi crescendo di Roly Porter nè delle percussioni profonde di Petit Singe. Non sono neanche le 23:00, applausoni per Roly Porter e tutti a casa.
Nella seconda serata, al Viper Theatre di Firenze, Fabio della Torre scalda con calma ed esperienza la pista in attesa del set di Nathan Fake, che parte alle 00:30. L’afflusso di gente è buono, l’ inglese propone nella prima parte del set linee di synth infinite, che si tramutano via via in incalzanti ritmiche a cavallo tra idm e microhouse che coinvolgono e fanno ballare. Preferisce tenersi per sé i classiconi, tanto per ricordare che non è solo il tizio a cui Holden ha remixato “The Sky was Pink”, eccezion fatta per un remix di Outhouse in chiusura. Alle 02:00 dovrebbero iniziare i Simian Mobile Disco, non è presente però James Ford: il set è gestito quindi dal solo Jas Shaw che parte, senza perdersi in quisquilie, con un set house di forte matrice analogica. Il problema quando si parte in quarta, si sa, è che si perde il crescendo di tensione che dovrebbe caratterizzare lo sviluppo di un set: è proprio questa infatti la maggiore pecca del set di Shaw, il cui set risulta in fin dei conti piuttosto sterile e piatto. Il suo amore per gli hardware di produzione è evidente in tutte le tracce che passa, il set però manca un pò di espressività. La gente balla (si tratta pur di sempre di house in 4/4) ma è evidente che c’è qualcosa che stride: la contrapposizione, infatti, tra un set dalle ritmiche house/festaiole e dei suoni così freddi ed analogici è evidente e sfocia inevitabilmente in un senso di straniamento misto a noia/sbadigli. Sarebbe stato un set perfetto per dei robot, lo è stato un po’ meno per delle persone in carne e ossa. I visuals sicuramente non sono indimenticabili, l’impianto invece oggi non delude: se non altro non si corre il rischio di tornare a casa senza orecche che fischiano.
Terza e ultima giornata, in Fortezza da Basso. Diciamocelo, se il Nextech gode di tutta questa popolarità è proprio grazie alle mastodontiche serate che si svolgono in Fortezza. Purtroppo mi perdo gli Wooden Crate (anche loro nome emergente da appuntarsi, interessante il loro ultimo EP), arrivo però in tempo per l’inizio di Truncate, alle 22:30. La sala è ancora quasi completamente vuota, il mestiere di riempipista oggi tocca all’americano. La sua techno lenta e potente è ottima ed i visuals poco invadenti sono perfetti come warm up: Truncate non ha intenzione di strafare né di lasciarsi prendere da manie di protagonismo, ma in ogni caso quando c’è da spingere non si fa pregare. La reazione del pubblico è ottima: tutti dentro al padiglione, e quando arriva il turno di Sterac, alle 00:30, la sala è già quasi piena. Consapevole di avere più libertà nella selezione dei dischi rispetto a Truncate, Sterac propone un set più intimo e personale: si riescono bene, infatti, a rintracciare le sue radici detroitiane nei veloci synth, sopratutto nella prima parte del set. Più canonica invece la seconda parte, quando le frequenze basse si impadroniscono della scena e diventano più frequenti cassa dritta e incursioni acide.
Alle 02:00 giunge il turno di Len Faki, e all’improvviso tutto ciò che c’era prima non conta più. Padiglione completamente pieno, striscioni, cori d’incitamento e centinaia di telefoni tesi al cielo per immortalare l’intro di quello che per i presenti è più una divinità che un dj. Len Faki lo sa, il primo pattern di cassa dritta infatti tarda ad arrivare, e quando parte è un’esplosione, una festa generale. Guardando al mero lato musicale a dir la verità ci sarebbe ben poco da dire sul tedesco: techno molto scarna, qualche timido accenno industrial qua e là e per ogni traccia una ripartenza fatta di sola cassa in 4/4. Se nei primi minuti il pubblico è in visibilio, dopo cinque o sei ripartenze inizia a saltellare sempre di meno. Len Faki si diverte, lo zoccolo duro del pubblico, sotto cassa, anche, gli altri invece tendono a muoversi per inerzia, decisamente meno convinti rispetto a due ore fa: un set senza dubbio sterile, se si escludono gli ultimi 15 minuti dove il tedesco si decide a sfoggiare qualche pezzo più datato ed aggressivo. Arrivati alle 4, a luci accese, Len Faki accontenta più volte i cori della folla (“se non metti l’ultimo…”) e conclude tra gli applausi: in fin dei conti, era il set che il pubblico si aspettava da lui, nel bene e nel male.
Quando si è al Nextech c’è da tenere presente che la situazione è molto più simile a quella di un rave che a quella di una discoteca, eccezion fatta per l’aura di maestosità che viene riservata al dj star del momento. Può darsi che si venga spinti perché c’è un pogo in preparazione, che vengano pestati ripetutamente i piedi senza che venga chiesto scusa, può anche darsi di ritrovarsi all’improvviso nel bel mezzo di una rissa (io ne ho contate tre di dimensioni notevoli, situazioni avvantaggiate anche dalla evidente carenza di steward: c’è da lavorare su questo punto, considerato che quello del Nextech non è certamente un pubblico tra i più docili). Quello che è sicuro però è che l’energia e la genuina passione per la techno che hanno i ragazzi (piuttosto bassa l’eta media, tra i 18 e i 22 anni: probabilmente per la maggior parte di loro si trattava del primo approccio ad un festival) del padiglione Canaviglia sono molto, molto rare da riscontrare in altre situazioni e in altri festival. Si tratta comunque ancora una volta della prova che anche a Firenze la techno può riunire migliaia e migliaia di clubbers sotto il suo nome.