Parkett vi guida attraverso i momenti salienti di OPENLESS, l’evento del festival Berlin Atonal 2024. Un weekend che ha riaffermato il festival come punto di riferimento per la musica e le arti d’avanguardia.
Berlin Atonal ritorna nel 2024, confermandosi come uno degli eventi più attesi nella vibrante scena musicale di Berlino. Quest’anno, l’evento è stato battezzato “OPENLESS”, un nome che incarna perfettamente l’obiettivo di offrire un palcoscenico a performance avant-garde, innovative e sperimentali.
OPENLESS è stata un’esperienza unica, con ogni serata che ha assunto una forma diversa, trasformando il 23, 24 e 25 agosto in un viaggio attraverso temi sempre nuovi. Ogni notte ha avuto un proprio titolo, seguito da ulteriori performance al Globus e afterparty all’OHM e al Tresor, locali iconici che hanno scritto la storia di Berlino.
Noi di Parkett eravamo presenti, pronti a raccontarvi i momenti più salienti di questo weekend di esplorazione ed esaltazione sonora.
Giorno 1: The Less Deceived
La prima serata invita a una profonda consapevolezza degli eventi attuali ed a una riflessione sulla condizione umana, attraverso un viaggio immersivo che combina suoni, proiezioni e movimenti nello spazio.
La performance inaugurale, “Białowieża” è il frutto di un progetto congiunto con il Sonar Festival, il Semibreve Festival e l’Unsound Festival, commissionato dall’iniziativa europea TIMES. “Białowieża” è un’opera creata da Chris Watson e dall’artista polacca Izabela Dłużyk, che racconta le condizioni degradanti e disumanizzanti nella foresta di Białowieża, dove migranti provenienti dal Medio Oriente, Africa e Asia meridionale tentano di attraversare le frontiere europee in cerca di salvezza e rifugio, ma si scontrano con un muro di metallo che li intrappola.
L’esibizione si è svolta in un ambiente completamente buio, con i suoni della foresta come sottofondo. L’intento era chiaro e perfettamente riuscito: non ci si trovava più all’interno del Kraftwerk, ma immersi nella foresta polacca, condividendo le emozioni più intime e le paure di coloro le cui voci risuonavano attraverso le casse.
A seguire due fratelli iraniano-canadesi Mohammad e Mehdi (Saint Abdullah) portano diverse testimonianze e la realtà delle persone vittima del processo di displacement che avviene in diverse parti del mondo, sotto il titolo simbolico “Forbidden Distance” creato in collaborazione con la regista italo-australiana Rebecca Salvadori.
La performance ha suscitato un’intensa tensione tra il pubblico, toccando profondamente il cuore degli spettatori più sensibili. Il richiamo agli eventi drammatici nella Striscia di Gaza e nella West Bank, sempre più occupata negli ultimi giorni, era evidente. Personalmente, è stata senza dubbio la performance più impattante dell’intero weekend che ha anche portato alle lacrime.
La serata raggiunge il suo apice con la performance “The Drum and the Bird”, commissionata dai festival Berlin Atonal, Sonar, Rewire e Terraforma. Quest’opera, realizzata da Forensis in collaborazione con PAN di Bill Kouligas, esplora gli eventi accaduti durante il periodo del colonialismo tedesco in Namibia e le loro conseguenze storiche. L’obiettivo di “The Drum and the Bird” è riportare alla luce, attraverso suoni, testimonianze e immagini dell’incredibile paesaggio namibiano, eventi dimenticati o silenziati che hanno offuscato la comprensione della storia, restituendo la realtà così come merita di essere raccontata.
Nonostante si parlasse di eventi passati, il significato è rimasto straordinariamente attuale. Ha rappresentato il culmine perfetto di un filo di riflessione che ha attraversato l’intera serata. Queste testimonianze hanno sottolineato l’importanza di raccontare nella giusta maniera ciò che domani sarà storia. In un 21° secolo scosso da grandi eventi, non possiamo più permettere che la storia sia scritta solo dai vincitori; dobbiamo garantire che le voci di chi ha davvero sofferto trovino spazio per essere ascoltate dalle generazioni future.
La serata si conclude in grande stile con l’icona del death metal keniano Lord Spikeheart, che ha travolto il pubblico con una combinazione esplosiva di canti, rap e urla su ritmi di batteria intensi e pulsanti. Dopo i temi affrontati, questa ultima performance è stata un vero e proprio grido di liberazione e sfogo.
Personalmente ha incarnato quell’angustia e pesantezza che è emersa dal processo di consapevolezza vissuto durante quella serata. Va anche sottolineato come la presenza scenica di Lord Spikeheart sia stata magnetica, creando una performance di pura energia e intrattenimento per il pubblico.
Giorno 2: Transcriptions
Tutte le esibizioni ruotano attorno alla figura di Doudou N’Diaye Rose, leggendario percussionista e compositore di Dakar, scomparso nel 2015. Questi spettacoli rendono omaggio all’uso delle percussioni nella musica tradizionale africana, con particolare attenzione alla cultura Wolof e al tamburo sabar.
La serata si è articolata in tre atti: From Death, Rhythmic Cosmologies e The Tannebier.
Il concerto vede la partecipazione dei familiari di N’Diaye Rose e di luminari del mondo della musica elettronica, che partendo dalla tradizione percussiva del Senegal, sviluppano nuovi esperimenti sonori. Le esibizioni sono arricchite da un’interazione coinvolgente con il pubblico, creando cori di voci e percussioni che risuonano in tutta la sala.
Nello stesso atto, Lamin Fofana presenta All Tenets Interacted & Kinetics Remained Oceanic, una performance multisensoriale che esplora e approfondisce le nozioni contrastanti di tempo e movimento.
L’artista Nkisi apre il secondo atto Rhythmic Cosmologies. Nkisi ha esplorato la sua connessione personale con l’eredità proto-afrofuturista di Cheikh Anta Diop attraverso la composizione del 1992 di Doudou N’Diaye Rose, dedicata al celebre scienziato panafricano. Nkisi ha presentato una composizione musicale che, attraverso melodie e ritmi, è riuscita a evocare ricordi e a stimolare l’immaginario collettivo. Il cuore dell’opera risiede nell’uso di tradizioni ancestrali, come danze, canti e poesia.
Il collettivo Holy Tongue e Shackleton hanno concluso il secondo atto con la loro esibizione dal vivo d’esordio, portando sul palco un’avanguardia musicale che ha fuso strumenti diversi in un’esperienza sonora unica. Il terzo atto, The Tannebier, si è chiuso con una danza coinvolgente sui ritmi del sabar, accompagnata da suggestive proiezioni visive, creando un finale potente e immersivo.
Durante la prima serata, l’attenzione si era concentrata sull’esterno, ma questa volta il focus è stato decisamente più intimo. Le performance più coinvolgenti sono state quelle dei familiari di N’Diaye Rose, che hanno trasformato la sala in una vera e propria tribù, con una connessione palpabile tra artisti e pubblico. Le voci del pubblico si sono intrecciate con quelle dei performer, creando un senso di appartenenza e comunità unico. Dopo l’esplosione di energia dei protagonisti della serata, gli altri performer, pur offrendo una performance musicalmente di alto livello, sono finiti un po’ in secondo piano.
Giorno 3: The Clearing
Gli ultimi concerti trasformano gli spazi del Kraftwerk in una tela bianca, riempita di luci e suoni per creare un’esperienza immersiva unica. L’ultima serata prende ispirazione dal format The Long Now e dalle precedenti edizioni del Berlin Atonal.
CS + Kreme portano sul palco il loro sound meditativo e ipnotico, mescolando dub, post-punk e musica da camera. Subito dopo, Grand River e Abul Mogard presentano In uno spazio immenso, una performance che, attraverso suoni eterei, invita a riscoprire la propria voce interiore in un’esperienza collettiva di ascolto.
Sara Persico e Mika Oki debuttano con il progetto “Sphaîra“, nato da registrazioni effettuate all’interno del teatro moderno-sperimentale progettato dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer a Tripoli, in Libano. Questo teatro a cupola, concepito per l’integrazione sociale ma abbandonato durante la guerra civile libanese e successivamente danneggiato dall’uso militare, diventa protagonista, creando effetti spaziali, sonori e luminosi per una profonda contemplazione.
Mi ha colpito particolarmente il simbolismo di questa performance: una riflessione sull’idea che la bellezza possa nascere dalle rovine. La storia del teatro di Tripoli diventa un’allegoria perfetta di come tutto, anche ciò che è stato devastato, possa tornare a splendere.
FRANKIE e Kelman Duran, che collaborano da due anni, portano sul palco un mix di strumenti classici, voci e le loro ricche esperienze, che spaziano dalla musica pop e sperimentale fino alla composizione di colonne sonore per film.
La performance di FRANKIE e Kelman Duran ha offerto un’esperienza artistica di altissimo livello. Ho particolarmente apprezzato come le melodie del violoncello si intrecciavano con suoni ambientali e percussioni, creando l’impressione di assistere alla nascita di una colonna sonora cinematografica. La voce straordinaria di FRANKIE ha riempito la sala, catturando l’attenzione e ipnotizzando il pubblico.
Canzonieri, il progetto multimediale di Emiliano Maggi e Cosimo Damiano, offre un viaggio onirico attraverso allegorie, simboli, orrore e desiderio, utilizzando strumenti come armonium, flauti, strumenti a corda e percussioni, spesso auto-costruiti o personalizzati. La performance vede la partecipazione di Lord Spikeheart e Lara Dâmaso. Personalmente l’ho trovata un po’ eccessiva nei toni e di poco impatto.
A chiudere OPENLESS è “Baselines“, l’opera di Demdike Stare che conduce il pubblico in un viaggio audiovisivo ispirato alla cultura dei nastri, amplificando dettagli e imperfezioni per offrire una prospettiva unica di bellezza e profondità. Il performer ha creato un viaggio sonoro psichedelico, arricchito da proiezioni visive e da una musica che ho trovato davvero coinvolgente.
Le notti del 23 e 24 agosto si sono protratte fino al mattino successivo, con artisti di alto livello che hanno animato gli spazi dell’OHM, Globus e Tresor, confermando l’eccellenza musicale che questi club storici della capitale dell’elettronica hanno sempre offerto.