In dodici anni il collettivo torinese Outcast ha preso una direzione tutt’altro che emarginata e oggi, per prepararci al party del compleanno del 5 gennaio, ci ha regalato una tracklist di 9 tracce selezionate dai suoi resident.
A volte basta cambiare prospettiva. Mi piace pensare sia un po’ quello che ha fatto la crew di Outcast in questi dodici anni di party e musica: ha orientato la visione verso un “oltre” che prima non c’era. O meglio, forse c’era, ma aveva bisogno di una bella rispolverata. Dall’inglese outcast significa letteralmente emarginato. Cambiando prospettiva anche in termini di lessico, l’emarginazione diventa un modo diverso di vedere e pensare fuori dalle linee prestabilite, fuori dai temuti margini. Così il reietto, l’escluso, esce dai suoi confini per esplorarne di nuovi, dando modo a chi non è mai entrato in contatto con la materia oscura contenuta nell’area del suo perimetro di scoprirla e, perché no, iniziare ad apprezzarla.
Credo questo sia stato esattamente il percorso di Outcast. Ho visto crescere questa crew nella città di Torino partendo dal basso, facendosi spazio in un reticolo urbano che fin dagli anni ’80 è stato simbolo di club culture e di underground, e che, proprio nel momento in cui il collettivo stava iniziando a prendere forma, attraversava una crisi sub-culturale fortissima. La chiusura dei Murazzi – i piccoli club che ogni weekend ospitavano i migliori dj della scena internazionale sulle sponde del fiume Po – la decadenza dei club più amati e che hanno scritto la storia della club culture italiana degli anni ’90, come lo Chalet al Valentino, La Gare di Via Paolo Sacchi, Il Centralino in Via delle Rosine, che non molla ma è dovuto scendere a compromessi per poter continuare a svolgere la sua attività, e così via, stavano gettando su Torino un velo di tristezza, oltre che l’impossibilità di organizzare un qualsiasi tipo di party in qualsiasi locale.
Outcast si è formato proprio in questo scenario post-apocalittico, proprio mentre i “party-istituzione” stavano gettando la spugna e tutto sembrava fosse destinato a svanire per diventare solo un bel ricordo della “Torino che balla… va”. Vedere fuori dai margini, pensare fuori dagli schemi, la passione per la musica e la forza di non piegarsi davanti a un sistema che cercava – senza esito, fortunatamente – di ridefinire i confini di una città che da almeno vent’anni portava alta la bandiera della sub-cultura, è stato il motore che ha fatto arrivare la crew di Outcast dove è oggi.
Un nuovo concetto di party
Chiunque si sia mai approcciato al mondo dei party, dell’organizzazione, della logistica e di tutto ciò che sta dietro a una festa, conosce benissimo quanto sia difficile – se non ormai impossibile – in Italia anche solo pensare di organizzarne una. I ragazzi di Outcast si sono ricavati in questa impossibilità uno spazio ben definito, che da ormai diversi anni esporta dalla nostra nazione addormentata in tutto il mondo, con i tour dei suoi artisti e con i party in collaborazione con le realtà internazionali più affermate della scena. Una visione ben precisa, che nasce da un nuovo concetto di party, di unione e connessione sotto la passione comune della musica. La necessità di spostarsi, però, non ha mai sradicato il collettivo dalle sue origini, continuando a proporre eventi di enorme successo nella loro Torino. Il 5 gennaio 2025 festeggerà i suoi 12 anni di musica con un line up speciale al Bunker di Torino. Tra i nomi anche Onur Özer e Brasi.
I ticket e le informazioni sono disponibili cliccando qui su Resident Advisor.
Gli artisti di Outcast
Negli anni Outcast, ora diventata anche agenzia per i suoi artisti, ha visto crescere il suo roaster e ampliarsi fino ad avere in squadra nove borse, tutte diverse e tutte, a modo loro, unite da un background che ha esplorato confini simili. Come regalo di Natale, e per parlarci un po’ di loro, senza per forza doverci dire tutto (sappiamo quanto sia più semplice per un dj far parlare la sua musica), abbiamo chiesto a ognuno un disco che ha segnato il suo percorso. Il risultato è un eclettico viaggio musicale all’interno del mondo di Outcast, con gli occhi, le orecchie e il cuore dei suoi artisti. Le tracce appariranno in ordine alfabetico seguendo i nomi degli artisti.
Alex Dima
L’animo gentile e sognante di Alex emerse fin dai suoi primissimi set. Non ci stupisce quindi, che quando gli abbiamo chiesto una traccia che raccontasse la sua evoluzione musicale, ci abbia mandato If It Really Is Me dal disco Surfing On Sine Waves di Polygon Window (uno dei tanti pseudonimi di Aphex Twin). Un viaggio introspettivo di 7 minuti che, tra tastiere romantiche e synth definiti trova la chiave delle nostre porte percettive.
Bakked
La sua musica è un crescendo di definizioni stilistiche, che spaziano dalla house all’electro in modo fluido e sempre lineare. Il disco con cui ha deciso di farci sapere qualcosa di più su di lui rispecchia benissimo questa sua direzione: Ekranoplan di Coil è un messaggio diretto e chiaro che si fa spazio in uno scenario minimal a suon di snare definiti e che parla tanto ai dancefloor quanto a un ascolto più intimo e immersivo.
Cristian Sarde
Il background di Cristian Sarde lo si ritrova sempre nei suoi set senza troppi compromessi, proprio come nella traccia che ha scelto per noi, Pépé Bradock – Life. Influenze housy, un groove preciso. In questo disco si percepisce facilmente l’essenza di quella che è la direzione di Cristian: bassi morbidi e avvolgenti, melodie che riportano ai primi 2000 e fine ’90 e una parola d’ordine: ballare!
Denaila
Chiunque abbia mai sentito un set di Denaila può dire di essere stato travolto dalla sua personalità luminosa e camaleontica. Il disco che ci ha mandato, Skin Deep, ingloba alla perfezione questi suoi aspetti. Un basso bello deciso intrecciato a synth onirici che ci fanno immaginare un after di quelli dove lei sa come farci divertire.
Donald
La musica di Donald è incandescente, influenzata da un passato sicuramente house, ma arricchito da una moltitudine di generi a cui è difficile dare definizione. Per noi ha scelto Glow di Ilija Rudman, veterano croato che dai primi 2000 riempie le borse di tantissimi dj della scena. La release raccoglie diverse tracce, tra cui alcune unreleased, con un unico filo conduttore, che ci piace pensare sia anche quello che distingue Donald: groove baby!
Emanuele Montalto
I set di Emanuele sono enigmatici e avventurosi. Il disco che ha scelto per Parkett è Japanese Fastfood di Korsakow, una traccia che ci ha fatto, indubbiamente, ballare almeno una volta nella vita. Attraverso il suo groove Emanuele sa sempre come rendere le piste un vero e proprio labirinto di soundscape diversissimi tra loro: perdersi all’interno è facile e il viaggio risulta essere indimenticabile.
Lorenzo Aribone
Lorenzo anima le piste con i suoi set mai uguali, sempre alla ricerca del kick decisivo che sa cambiare le carte in tavola in pochi secondi. Per Parkett ha scelto Sensitive Planet di Stevia (Susumu Yokota), un classicone del ’97 che prende per mano chi ascolta e lo accompagna in un pianeta lontano. Forse, se dovessimo pensare a dare una definizione della musica di Lorenzo Aribone, sensibile sarebbe proprio il termine adatto.
Munir Nadir
Lui è indubbiamente uno dei veterani di Outcast, negli anni la sua evoluzione musicale non ha mai abbandonato le sue radici e le sue influenze. Il disco con cui vuole parlarci di lui e del suo percorso fino a oggi è Freakshow di Salon Boris, un messaggio evocativo creato da pad caldi texture granulari. La sua musica è un costante rincorrersi di groove con sviluppi naturali e mai forzati, mood allegri che rappresentano a pieno la sua anima.
Paolo Macri
Paolo avvolge i suoi set con un velo di mistero, che stupiscono sempre per la profondità e la ricerca di musica mai banale. Ha scelto per noi una release del ’92, Electroground – Electro Pt.1, da una label techno electro italiana. Una miscela fluida di sonorità italo disco intrecciate a bassline un po’ dark, affascinanti e che – proprio come la musica di Paolo – sanno accendere curiosità nelle orecchie di chi ascolta.
Paul Lution
L’energia fuori dal comune è la firma di Paul Lution, così come fuori dal comune è la sua musica. Per parlarci di lui ha scelto una hit che ha segnato l’esistenza di migliaia di teenager degli anni ’70 e ’80: Space Oddity di David Bowie. Questo è stato il primo singolo di Bowie, con cui nel ’69 si è mostrato al grande pubblico su un modesto 45 giri, ristampato poi in un secondo momento nel ’75. Il brano diventò celebre anche grazie alla BBC, che lo utilizzò per mostrare le prime scene dell’allunaggio. Viene facile utilizzare questo collegamento per la musica di Paul Lution: i suoi live act sono, ogni volta, delle vere e proprie esplorazioni spaziali.