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Jean-Michel Jarre ha pubblicato (finalmente) il nuovo lavoro “Oxymore“. L’intero album è sviluppato attraverso le tecniche di audio spaziale, e l’intera tracklist è una vera suggestione di suoni. Ma sarà sufficiente per rendere questo disco unico? Spoiler: no.

Quando si parla di un nome così importante come quello di Jean-Michel Jarre è sempre molto difficile approcciarsi nello sviluppo di una recensione. Questo per tanti fattori, ma soprattutto per una consapevolezza: di trovarsi davanti al lavoro di una persona che ha fatto della musica – o meglio, del suono – la propria stella polare.

È stato pubblicato proprio oggi 21 ottobre 2022 il suo nuovo lavoro Oxymore” firmato Sony Music. Ho avuto modo di ascoltarlo in anteprima e, nonostante sia rimasto profondamente affascinato da questo modo di proporre un’esperienza musicale, non ha completamente soddisfatto le mie aspettative. Che Jarre sia un fuoriclasse è cosa certa, ma questo “nuovo” disco non brilla per innovazione.

Facciamo un passo indietro. Chi è Jean-Michel Jarre? Un artista e discografico francese che ha rappresentato per anni l’avanguardia nel campo della musica elettronica. È stato uno tra i massimi esponenti della musique concrète; questo particolare tipo di composizione fa del campionamento la materia prima della produzione creativa.

Se nella musica conosciuta in larga scala tutto parte da un’idea per poi essere messa in partitura, nella “musica concreta” tutto parte da  campioni registrati – gli objet sonore – che vengono poi modificati mediante la rielaborazione del segnale audio.

Sono tanti i successi musicali e i traguardi ottenuti dall’artista francese, ma “Oxymore” non è detto che sia tra questi. Cerchiamo di capire il perché.

Il concept

Che ordinata confusione quella di Jean-Michel Jarre in “Oxymore“. Ho deciso di aprire questa sezione di analisi con un ossimoro (“ordinata confusione”) perché comprendere il titolo del disco è parte dell’esperienza musicale stessa (e ci permetterà di capire quello che andremo ad ascoltare). È il 1976: Jarre pubblica il suo album cult “Oxygene” – nel 2016 racchiuso in un collezione che include, oltre al primo volume, anche il secondo (1997) e dei brani inediti.

Date queste premesse possiamo arrivare (finalmente) al titolo dell’album. Il nome “Oxymore” gioca su una molteplicità di significati. In primis abbiamo questo neologismo sincratico composto da “oxy” e “more”: risulterà abbastanza evidente comprendere che “oxy” rimanda proprio al fortunato “Oxygene”; il “more” è il termine inglese che indica un aumento di quantità, il “di più” italiano.

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa

Il secondo significato che troviamo dietro la parola “Oxymore” è quello di ossimoro. Come proposto in apertura, per definizione, l’ossimoro è una figura retorica che accosta due termini fra loro contrapposti. E questo tanto musicalmente, quanto in termini di idee ed immagini proposte, lo ritroviamo come elemento fisso all’interno dell’album.

Se dovessi utilizzare un solo termine per descrivere l’architrave che sorregge l’intera struttura (monumentale) di “Oxymore“, vi proporrei la parola sincrasi: un’unione, ma anche una mescolanza, di elementi vari. Mi spiego bene. Unione e mescolanza non sono sinonimi, ed è proprio per questo che sono funzionali per descrivere il disco: se “unione” prefigura un ordine da costituirsi, la “mescolanza” non tende a questo, anzi pone l’immagine di un ordine-dissolto (dis-ordine).

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa – PH. Anthony Ghnassia

Sonorità: alcune premesse

Parliamo chiaro. Stiamo discutendo di un artista con la “A” maiuscola. Un ruolo fondamentale in questo progetto lo svolge la spazialità e le tecniche di audio tridimensionale. Non si tratta di come il suono venga a posto attorno a noi – come era stato nel caso di “Oltre” di Mace – ma mi riferisco proprio al loro spostarsi e al non essere mai elementi statici.

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa – PH. M. Kuenster

Un presupposto fondamentale per capire “Oxymore” è comprendere che ci troviamo di fronte non ad un semplice disco, piuttosto ad una “esperienza uditiva”. Pur rimanendo legato agli stilemi della musica new-age e ambient, è molto difficile racchiudere questo disco all’interno di un unico genere.

Quello che colpisce è che, almeno nelle battute iniziali, non ci sono bassi o drum particolarmente complesse; piuttosto tanti elementi vanno a comporre la stanza sonora di ogni canzone, offrendo spazialità, ritmo e sinuosità all’album.

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Jean-Michel Jarre – Oxymore (artwork)

Analisi e critica

In apertura abbiamo il brano “AGORA che lascia già intendere quale sarà la piega dell’intero album. Tante voci distorte – in verità sempre la stessa – si spostano da un punto a un altro del nostro udito, continuano incessantemente a distorcersi come se un velo di mistero volesse nascondere la purezza del suono.

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa – PH. Anthony Ghnassia

Se con la open track vengono esplicitate le premesse tematiche di “Oxymore“, è nella title track che esplode tutta la potenza comunicativa dell’album.

In “Neon Lips” emerge la natura cross-generica del lavoro di Jarre; dopo una prima fase di introduzione, la cassa si inserisce e rimane sempre sul quarto pur non risultando mai invadente o centrale all’interno della composizione.

Ho molto apprezzato anche la successione “SONIC LAND“-ANIMAL GENESIS“, tanto nella sua idea di fondo quanto sul piano tecnico. Nel primo brano citato, soprattutto nel primo terzo del suo svolgersi, abbiamo come main theme una singola nota (pizzicata, si tratta sicuramente di uno strumento a corda). Una singola nota regge l’intero climax narrativo. (Questo tipo di struttura mi riporta alla mente il tema di Psyco 1960 di Hitchcock in cui Denny Elfman con un solo accordo di “violini urlanti” genera tensione e inquietudine). Nella restante parte del brano invece abbiamo dei toni che rimangono sì eterei e sospesi in un clima ignoto, ma al contempo molto più presenti e caratterizzanti.

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa – PH. Feng Hai

In “ANIMAL GENESIS” invece emerge fin dall’inizio quell’idea di progressione, di costante aumento. I tonfi elettronici, striduli, metallici sembrano quasi rappresentare dei passi che avanzano. Tutto il climax viene interrotto però dall’introduzione di una melodia cupa, dai toni dark, che si fa secondo dopo secondo sempre più presente. Tutto il resto diventa struttura: continuano ad essere (sempre) presenti, ma assumono un ruolo secondario, di sfondo.

Che Jarre fosse un musicista senza eguale è cosa evidente. In “Oxymore” si presentano tutte quelle sfumature che caratterizzano la sua produzione, ma immerse in una dimensione nuova che, proprio attraverso la spazialità, batte il sentiero per un nuovo tipo di esperienza acustica.

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa – PH. Anthony Ghnassia

Stile

Come detto in apertura, Jean-Michel Jarre è certamente volto alla sperimentazione nonostante  si rifaccia a tanti elementi e canoni compositivi della musica ambient e new-age. Questo non è assolutamente un male, anzi, rende il suono dell’artista francese assolutamente riconoscibile.

Bisogna anche sottolineare un altro elemento importante: artisti come Jarre giocano un campionato a parte, non incasellabile nella semplice “produzione elettronica”; anche per questo ho a più riprese parlato di “esperienza sonora”.

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa – PH. M. Kuenster

Ascoltando il disco si capisce subito che siamo di fronte a qualcosa di ricercato e che cerca di sfruttare con saggezza la nuova tecnologia dell’audio 3D, regalando immagini e sensazioni.

Menzione d’onore per il brano “ZEILTGEIST. Questa parola tedesca è propria della cultura filosofica del ‘800 ed indica “lo spirito dei tempi”. Infatti, il brano in questione si discosta dalle sonorità che ritroviamo nell’album, per rivolgersi ad un modo di fare musica eletrronica  più tradizionale.

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa – PH. Anthony Ghnassia

In conclusione

Oxymore” di Jean-Michel Jarre è un album intenso, sicuramente fuori dalle classiche catalogazioni, e già questo basterebbe a rendere l’album degno di essere ascoltato.

Come abbiamo avuto modo di dire, nonostante tutto, se da un lato è un album sperimentale, è altrettanto vero che pesca a piene mani da tutto il suo repertorio musicale, senza distaccarsene più di tanto.

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Jean-Michel Jarre. © Foto Ufficio Stampa – PH. Anthony Ghnassia

Abbiamo l’introduzione dell’audio 3D (è davvero una grande innovazione?) che rende l’ascolto interessante, ma non rappresenta la svolta che magari ci si poteva aspettare da Jarre. A suffragare quanto detto è l’evidenza che l’artista francese aveva già proposto questo tipo di “esperienza musicale” – in particolare in “Amazônia (Binaural Audio)“.

Che “Oxymore” sia un buon disco, dal gusto quasi dadaista e in controtendenza con la cultura sonora attuale, è evidente. Eppure, vuoi per aspettative, vuoi per complessità, “Oxymore” non riesce ad ammaliare, a lasciare quel velo di incanto tipico di geni musicali come Jean-Michel Jarre.

Jean-Michel Jarre - Oxymore
PRO ✅Ricercatezza nei suoni propostiUtilizzo dell'audio spaziale
CONTRO ❌In linea con la produzione passataUn concept poco lineare e non facilmente comprensibile
3.0Overall Score
Concept
Sonorità
Stile