Franchino è una figura di inestimabile valore da oltre un ventennio nella scena clubbing italiana. Abbiamo avuto il piacere di intervistare il cantastorie per eccellenza, considerato tra i maggiori responsabili dell’evoluzione della scena elettronica nazionale grazie al progetto Metempsicosi.
Tra musica, magia e ricordi di notti interminabili, abbiamo parlato con il Re dei vocalist: Franchino.
Intorno alla metà degli anni ’90 in alcuni dei templi della musica elettronica nazionale, faceva il suo ingresso Franchino, un artista destinato a diventare una delle figure fondamentali della scena elettronica italiana. Un artista in grado di far interagire la propria voce con un’eleganza innovativa all’interno del neo nascente movimento Progressive Trance in arrivo dall’Inghilterra, riuscendo così a trasfigurarne i suoni e creando un contesto musicale nuovo, identificabile e ancora oggi apprezzato da tutti gli appassionati del genere.
Francesco Principato, alias Franchino, nasce a Caronia, un piccolo paese in provincia di Messina, nel 1953. Figlio di operai, fa il primo incontro con l’universo musicale nel 1971, dove lavora come parrucchiere di giorno, per poi indossare i panni del DJ al Seven Eleven di Montelupo Fiorentino di notte. Nel 1978 abbandona temporaneamente la passione per la musica per dedicarsi alla carriera di parrucchiere, altra sua grande passione.
Da Parigi a Londra, Franchino collabora con i più grandi stilisti come Jean Luis David ed Entony Arlow, per poi aprirsi una sua attività sull’Isola d’Elba. Isola che porta nel cuore da sempre e che lo vedrà, anche in questo caso, indossare le vesti del DJ a Marciana Marina nella discoteca Capo Nord. Nel 1982, dopo uno dei suo viaggi intorno al pianeta, approda in Brasile, terra che diventerà una sua seconda casa e che gli darà l’opportunità di conoscere e collaborare con musicisti locali e argentini, formando ad Arraial d’Ajuda, in Bahia, un gruppo di musica Blues. Ma è dopo un viaggio ad Ibiza che Franchino decide definitivamente di intraprendere la carriera di vocalist; una notte nel lontano 1992, insieme a Miky, Francesco Farfa, Ricky LeRoy e Mario Più, all’imperiale di Tirrenia, avviene la magia.
Ciao Franchino, grazie del tempo che ci concedi e benvenuto su Parkett.
Iniziamo con la “Magia” allora, una delle parole che usi più spesso per descrivere il momento in cui prendi in mano il microfono e inizia il viaggio sinergico tra te e il tuo pubblico. Un viaggio che inizia una notte del lontano 1992 all’imperiale di Tirrenia (notte che da il titolo al tuo primo 12” A Night In Tirrenia” del 1994) e che rimane invariato da più di venticinque anni, raccontaci come è iniziato tutto.
Magia è senza dubbio una delle parole che uso più spesso e volentieri nelle mie performance. Quando ho iniziato nel lontano 1992 all’Imperiale di Tirrenia, ero appena tornato dal Brasile, ai tempi un luogo magico ed esotico dove avevo vissuto a lungo. La magia me la sono portata un po’ dal Brasile e una volta arrivato qui gli ho dato forma ed espressione, attraverso la musica, perché anche la musica è magia. Gli inizi degli anni Novanta erano il periodo della nascita della club culture e del movimento della tendenza in Italia e io mi sono trovato nel posto giusto al momento giusto. Così ho iniziato la mia carriera, Franchino, la voce per accompagnare la musica elettronica. Già in Brasile avevo avuto diverse esperienze ed avevo avuto modo di utilizzare la mia voce in modo fluido ed originale, come se fosse un suono, una parte della musica stessa. Un modo per raccontare il mio viaggio in Brasile e le esperienze vissute.
Insieme a Ricky Le Roy, Mario Più, Joy Kitikonti, Luca Pechino, Fasano, 00Zicky, Vibot e molti altri (i tuoi collaboratori sono stati troppi, è impossibile elencarli tutti) siete considerati i pionieri di un’epoca d’oro. Parliamo degli anni in cui dall’Inghilterra e Germania arriva la Progressive Trance, che in Italia diventerà Mediterranean Progressive (o Dream Progressive), per poi suddividersi in numerosi sottogeneri. Tutti voi siete riusciti a elaborare quelle sonorità in qualcosa di assolutamente identificabile. E’ corretto inserirvi tra i precursori che hanno permesso l’espansione della musica elettronica in Italia?
La Metempsicosi è nata nel 1997, fondata da noi sei: Ricky Le Roy, Mario Più, Joy Kitikonti, 00Zicky, Luca Pechino ed io. In quel periodo l’elettronica in Italia era ancora agli inizi. Dopo vent’anni siamo sempre noi, siamo cresciuti, ma siamo sempre qui. Abbiamo mantenuto inalterata la nostra anima, ma in questi anni abbiamo anche saputo reinventarci e restare sempre al passo con i tempi. Questo è il segreto della nostra longevità e del nostro successo. Affiatati più che mai ed appassionati del nostro lavoro, possiamo ancora muovere grandi folle.
E così negli anni ’90 la tua voce narrante si inserisce elegantemente dentro questo contesto storico musicale, dando origine a qualcosa di meravigliosamente nuovo e che identifica ancora oggi Franchino come il Re dei vocalist; il cantastorie che accompagna la musica attraverso le favole, senza disturbare, in grado di dare quel tocco di unicità alle tracce proposte. Un po’ come se facessi regredire l’ascoltatore dentro se stesso, grazie alla complicità della musica, riportandolo nell’età in cui i sogni erano più importanti della realtà. E’ proprio questa la magia di cui parli e che tiene unito quasi tre generazioni di ascoltatori?
Per me le favole sono un modo per comunicare ed entrare in contatto con il pubblico di ogni età. Raccontare favole in un contesto come quello di un club, dove le parole si mescolano a suoni elettronici e pieni di effetti, significa stimolare molto la fantasia del pubblico, creando con le parole un’ atmosfera magica e sognante.
Metempsicosi è un progetto che porti avanti dal 1997, una sorta di bolla che rimbalza da una parte all’altra dell’Italia dentro la quale sembra che il tempo si sia fermato. Animato da voi e da un’attenta e innovativa ricerca musicale e artistica, è uno dei pochi se non l’unico movimento in grado di non passare mai di moda. Ci spieghi il suo segreto?
In tanti anni di carriera ho vissuto tanti momenti speciali e ricchi di emozioni, oggi è tutta un’altra storia, non è come lavorare vent’anni fa. Noi eravamo la novità, il pubblico più curioso non sapeva mai cosa aspettarsi, ogni notte era unica e irripetibile. Ho difficoltà a trovare qualcosa di simile a Metempsicosi nella nightlife. Siamo artisti indipendenti, uniti dalla passione per il nostro lavoro e da obiettivi comuni. Credo che questo sia il nostro segreto di longevità.
Escludendo questa realtà, che si afferma anno dopo anno come uno dei principali punti di riferimento della nightlife italiana, ci sono oggi club o dj in cui ritrovi la musica e soprattutto lo spirito con cui avete creato questo vero e proprio movimento culturale?
Oggi il mercato è abbastanza saturo di dj personaggi ed aspiranti artisti, ma per restare in vetta alle classifiche è necessario avere una forte personalità e reinventarsi. Il passato è passato, oggi dobbiamo occuparci del presente e pensare al futuro, proponendo sempre qualcosa di nuovo e diverso. Non saprei dirti un locale preciso, ma posso dire che mi capita comunque spesso di partecipare ad eventi memorabili, spesso capita durante i nostri tour ufficiali. Ritrovarci tutti insieme in un’unica console trasmette grande energia anche al pubblico.
Con l’avvento dei Festival i Club italiani hanno subito un forte trauma, gli investimenti si sono spostati verso grandi manifestazioni trascurando il fascino delle serate di “nicchia” (passami il termine). Con i suoi party che duravano anche quindici ore di fila e notti che tutti i nostalgici ricordano per le maratone dentro le quali era possibile respirare un’atmosfera unica e irripetibile. “Vivere per Vivere” sprofondati in momenti che duravano giorni e che permettevano al pubblico un vero e proprio viaggio introspettivo più intimo. Costruito grazie al legame DJ/Franchino/Pubblico. In relazione a questa considerazione, quale pensi sia il futuro del clubbing in Italia?
E’ vero, sono cambiate molte cose. Si cercava di distinguersi in ogni modo e non di uniformarsi, proponendo ogni volta qualcosa di diverso e sempre più stupefacente.
Poi con l’inizio dell’era dei grandi festival ed eventi con i top dj’s e i big mondiali, oltre che alla diffusione del web e dei social, abbiamo avuto tutti la possibilità di conoscere e studiare ciò che succedeva all’estero. Culturalmente parlando, questa possibilità è stata sicuramnte positiva, oggi conosciamo molto di più sugli artisti stranieri, i generi musicali che esistono, le ultime uscite etc.. Ma alla fine dei giochi, ride bene chi ride ultimo come sempre! Se sei bravo ed hai modo di farti apprezzare da un pubblico più ampio resisti, ma se sei scarso o copi gli altri, vieni smascherato subito e dimenticato molto velocemente.
I giovani di oggi appassionati di musica elettronica, saranno in grado di fare un passo indietro e ricreare lo spirito con cui venivano vissute quelle notti?
Noi abbiamo vissuto sia il primo periodo diciamo, quello del club underground, il ritrovo storico per i cultori della progressive prima e dell’elettronica poi, luoghi dove le emzioni e le vibrazioni ti trasportavano in un mondo esclusivo. Poi negli anni successivi ci siamo ritrovati anche in grandi festival con migliaia di persone. I grandi eventi magari si caratterizzano per un’atmosfera sicuramente meno intima e famigliare rispetto al club, ma sicuramente trasmettono una grande energia.
Forse oggi un piccolo ritorno al passato non sarebbe male, ma i giovani non potrebbero farlo, perché allora non erano nemmeno nati, quindi tutto ciò è impossibile. Il progresso non si può fermare.
Hai una sorta di erede artistico per quando deciderai di smettere, oppure dopo Franchino bisognerà inventarsi qualcosa di nuovo?
Se penso all’attuale panorama del clubbing italiano, non penso di avere un vero e proprio erede: Franchino è Franchino! Però mi piacerebbe molto se una delle mie tre figlie intraprendesse la carriera musicale, portando avanti la magia di papà Franchino!
Io arrivo da quella generazione che a fine serata faceva una colletta per comprare le audio cassette da tenere gelosamente in macchina, ne conservo ancora parecchie. Dalle serate al Mazoom, Duplè, Insomnia, Imperiale, Alter Ego fino al Matrix. Non trovi che i social media, strumento che tu utilizzi molto bene, abbiano in qualche modo rovinato però quell’intimità che risiedeva nella club culture portandola da fenomeno underground, a grande distribuzione di massa?
Bei ricordi! Oggi quelle cose non esistono più, la musica non ha necessariamente bisogno di supporti per diffondersi. Ma le nostre cassette sono ancora in circolazione e sono molti i diciottenni che vengono a ballare, cresciuti ascoltando le cassette degli anni Duemila, appartenute a fratelli, amici o parenti di qualche anno più grandi che hanno vissuto quel periodo e conoscono la nostra musica e la nostra storia.
Nei mesi freddi passi molto tempo in Brasile, terra nella quale non sei riuscito a scollegarti dalla musica ma che anzi, è stata ed è fonte di ispirazione artistica ancora oggi. Chi è Franchino in Brasile?
Franchino in Brasile è una persona molto felice e spensierata, che ama godersi la vita, circondato da spiagge meravigliose e natura lussureggiante, conoscere i nativi, fare escursioni, gustare il cibo semplice locale, sognare e riposare. In Brasile Franchino la sera va a letto alle 10 e si alza la mattina a 5.30 – 6; colazione, passeggiata in spiaggia, chiacchiere, è una vita indescrivibile, lenta e felice. Per comprenderlo bisogna viverlo, come ho fatto io. Lì la mia mente si ricarica e rinnova la magia e la fantasia.
In una tua dichiarazione hai detto di aver spinto forse troppo il piede sull’acceleratore agli inizi della tua carriera. Se potessi tornare indietro rifaresti tutto o cambieresti qualcosa? In relazione al fatto che nel Duemila purtroppo arriva qualcosa che non ti aspettavi e che ti ha riportato (concedimelo) coi piedi per terra; purtroppo una brutta malattia ti ha tenuto fuori dai giochi per un lungo periodo di tempo, come descritto nel libro Back to Life di Michela Redaelli (acquistalo QUI). Ti va di parlarci di come ci hai convissuto, dove hai trovato la forza per andare avanti e come vive Franchino oggi, quando non indossa gli abiti del cantastorie?
Chissà… Ma se potessi tornare indietro non cambierei niente. Come scritto nel libro da Michela – la mia compagna e madre delle mie bambine – ho convissuto con la malattia, ma l’ho superata anche grazie al supporto e all’aiuto della mia compagna. La malattia mi ha fatto davvero fatto ritornare con i piedi per terra, ma la voglia di vivere non mi ha mai abbandonato. Comunque io credo che tutto sia scritto nel nostro destino; forse anche quell’esperienza faceva parte del gioco e se oggi, dopo diciassette anni sono qui a parlare di queste cose e ricevo ancora tanto affetto, applausi e gratificazioni dal mio pubblico, è perché tutto ciò che ho vissuto mi ha reso la persona che sono oggi. La vita è questo, accettare se stessi e riuscire a proseguire, arricchire la propria esistenza, ma anche ridefinire le proprie priorità nelle esperienze positive e negative. Si tratta di vivere per vivere, no?
Nella vita Franchino il cantastorie è un uomo, un papà e un compagno. Vivo con la mia famiglia e mi occupo anche delle mie figlie, cercando come ogni bravo papà di non far mancare mai loro nulla, sia da un punto di vista affettivo che pratico.
Cantante, DJ, vocalist, produttore e musicista e papà: qual è il tuo più grande rimpianto e qual è il tuo prossimo sogno da realizzare?
Di rimpianti ne ho pochi, oggi sono contento di quanto sono riuscito a realizzare. Il mio prossimo sogno è un progetto che considero il coronamento della mia carriera: Musica e Magia.
Per concludere, ti va di lanciare un messaggio alle nuove generazioni che si avvicinano al mondo della musica elettronica? Se potessi musicalmente indirizzarli, che consiglio daresti?
Consigli non se ne possono dare, perché ognuno deve trovare la propria vita. Se sei un musicista vero lo senti dentro di te, ci credi anche se all’inizio ricevi solo porte in faccia e alla fine ce la farai.Se invece già senti dentro di te che non ce la farai o non sei convinto di ciò che fai, lascia stare, perché significa che non è la tua strada.
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