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Compie cinquant’anni Richie Hawtin, artista che nella scena dell’elettronica mondiale ha ininterrottamente dimostrato di essere un innovatore e tra le figure più influenti dagli anni ’90 in poi.

Attraversando differenti fasi artistiche, Richie Hawtin grazie alle sue acclamate impronte Techno e Minimal rilasciate dalle sue label Plus 8 e Minus, è riuscito a tracciare un segno indelebile nella storia della musica elettronica per come la conosciamo oggi. Storia che inizia in un piccolo quartier generale dentro una caserma dei pompieri vecchio stile a Windsor, in Ontario, proprio appena oltre il confine della città di Detroit.

Nato a Banbury il 04 giugno 1970 nell’Oxfordshire in Inghilterra, Richard Michael Hawtin si trasferisce nel 1979 con la famiglia a Windsor, città Canadese situata nella provincia dell’Ontario. Ed è proprio grazie al trasferimento nella città più meridionale del Canada, sulle rive del fiume Detroit, insieme all’influenza musicale del padre, all’ora tecnico di robotica alla General Motors e grande appassionato di elettronica, che Hawtin si avvicina a quella che da li a breve sarebbe diventata la sua vocazione. Confermandolo oggi, a livello innovativo e produttivo, come uno dei pesi massimi della musica elettronica del pianeta.

Crescendo all’interno di un mondo tecnologico e dentro le sonorità elettroniche primordiali di quegli anni, come quelle di “Autobahn” e “Ralf & Floriandei Kraftwerk, della kosmische musik di “Illricht” di Klaus Schulze (sinfonia quadrifonica per orchestra e macchine elettroniche), dei Tangerine Dream, dei Cabaret Voltaire, di Brian Eno piuttosto che delle atmosfere spazio-centriche di Jean Michel Jarre, che Richie Hawtin e suo fratello Matthew, artista visivo e DJ di musica Ambient, iniziano a condividere oltre che le eredità musicali, anche una ex stazione dei pompieri diventato successivamente loro studio.

All’età di 15 anni, con la musica di Jeff Mills sparata nelle orecchie, che alla fine degli anni ’80 aveva già fondato il collettivo Underground Resistance (insieme a “Mad” Mike Banks e Robert Hood) e trasmetteva sull’emittente radiofonica WJLB con lo pseudonimo The Wizard, Hawtin inizia a bazzicare il mondo del clubbing, attraversando il confine canadese per andare nella patria della Techno: Detroit

“Grandi macchine, grandi strade, tutti i cavi sospesi, Detroit che incombe all’orizzonte, era in inverno, quindi tutto si gelava, ci siamo tutti ammalati… Matthew e io ci sentivamo alieni, camminando, parlavano in modo diverso. Ma è stato davvero l’inizio di una nuova avventura”. (Mixmag 2019)

Oltre alla musica, le conoscenze del padre sull’utilizzo della tecnologia del tempo danno a Richie la possibilità di imparare a programmare, di sedersi da solo e assimilare il controllo di spazi informatici virtuali, creare giochi; tutte capacità che nel corso della sua carriera si sarebbero poi sviluppate fino ad arrivare alla creazione di strumenti e software per suonare e produrre.

Ascoltare musica Techno, divenne in breve tempo il suo modo di comunicare, ipnotizzato da solo davanti a un computer o al buio in qualche posto senza nome a mettere dischi. Fino a quando, nel 1987, all’età di 17 anni, sotto lo pseudonimo di Richie Rich Hawtin, diventa DJ al The Shelter, storico Club della città. Seminterrato underground all’interno del club inizia a mixare musica House e Techno, e subisce l’influenza dei ritmi Breakdance ed Electro neo nascenti, immergendosi radicalmente nel meccanismo artistico della scalpitante macchina musicale di Detroit; guidata da pionieri del calibro di Juan Atkins, Derrick May e Kevin Saunderson.

Richie nel suo primordiale stadio musicale miscela le sonorità della città alla post Industrial Music dei Front 242 e Nitzer Ebb: un gruppo musicale britannico formatosi nel 1982 e che grazie all’utilizzo dei synth di Douglas McCarthy e alle percussioni di Vaughan Harris, contribuiscono alla sua formazione artistica (capirete poi perchè); rendendolo oggi, proprio grazie a quelle sonorità trasmutate, un pioniere della musica elettronica e Dj tra i più apprezzati e innovativi di sempre.

Ma la svolta determinante arriva nel 1989, quando Richie conosce John Acquaviva, un DJ di origini italiane e proprietario di un primitivo studio di produzione, quanto basta per permettere ai due giovani artisti di piantare le basi per fra crescere qualcosa di più concreto e prendere la decisione di fare musica insieme. Vista anche la mancanza di interesse delle label di Detroit verso le loro produzioni, nel 1990 decidono di fondare l’etichetta Plus 8 Records (+ 8); scelta alimentata anche dal fatto che Hawtin era un bianco, a Detroit, giovanissimo e molto precoce, tutte caratteristiche che lo costrinsero a subire frequenti attacchi dalla scena radicata della città, che è notoriamente nera e in certi ranghi decisamente integralista.

Tra il 1990 e il 1993 lancia la sua carriera produttiva sotto gli alias Cybersonik (con la collaborazione al duo di Daniel Bell), F.U.S.E. (Futuristic Underground Subsonic Experiments) e State Of Mind, aka “Two Guys In The Basement”. Il primo Ep come State Of Mind dal titolo “Elements Of Tone” viene subito classificato come Techno, presentando però sfumature che attraversano sonorità Garage-House con inviluppi tipicamente Minimal.

Ci troviamo davanti alle basi delle sonorità che col tempo diventeranno poi il marchio di fabbrica dell’artista inglese. Sempre nello stesso anno sotto l’alias Cybersonik pubblica Technarchy con al suo interno tracce come “Algorhythm” e “Melody 928.V2“. Produzioni che arrivano subito oltreoceano, iniziando così ad accaparrarsi consensi nell’ambiente rave di Germania e Olanda; e che gli permettono di aprirsi uno spiraglio verso la scena Europea.

Tra gli innumerevoli alias utilizzati negli anni novanta (Circuit Breaker, The Hard Brothers, Hard Trax, Jack Master, e UP! per citarne alcuni), F.U.S.E. resta tra i più prolifici e significativi. Con gli EP “Approach & Identify” del ’90, “Substance Abuse” del ’91 e “Loop” del ’93, realizzato in collaborazione con Low Frequency Oscillation aka LFO, il produttore bianco genera una sottile spaccatura, se volgiamo identificarla come tale, all’interno delle regole scritte della musica underground e Techno di Detroit.

Città dalla quale fu costretto anche ad allontanarsi nel 1995, dopo che i funzionari dell’immigrazione Americana, contestando a Hawtin di lavorare illegalmente (partecipò ad un rave Detroit dove gli furono sequestrati alcuni file che verranno utilizzati successivamente per Artifakts (BC) del 1998), gli impedirono l’ingresso negli USA per 18 mesi. Fatto che si rivelò tanto devastante psicologicamente, quanto propiziatorio sotto l’aspetto di crescita artistica, in quanto portarono Hawtin, dopo un successivo ma breve ritorno in Canada, al suo trasferimento a Berlino (definitivo nel 2003), dove fonderà l’etichetta M_nus (Minus).

Ma torniamo al 1993, anno che è segnato anche dall’importante e imponente impronta sulla Warp Records. A ventitré anni rilascia “Dimension Intrusion” sulla label di Steve Beckett e Rob Mitchell, il primo dei long play con l’alias F.U.S.E. (rilasciato anche su + 8) ed inserito nella serie “Artificial Intelligence 05”. L’album segue la sperimentazione dettata dalla Warp e propone tracce nuove mescolate a materiale dei primi singoli rilasciati su + 8. La musica dell’album, profonda e assolutamente ipnotica, rimane una pietra miliare per i produttori di Techno più progressisti, ossessionati dalla miscela di trame ambientali astratte, melodie inquietanti, groove Acid ed estetica pulita e minimale.

Richie risulta la persona giusta, nel posto giusto, al momento giusto. L’inizio della sua carriera infatti avviene negli anni in cui la scena di Detroit si sta lentamente ed inesorabilmente trasmutando, gran parte degli artisti di quella che è stata definita “la prima generazione Techno” si sono trasferiti permettendo all’etichetta di iniziare ad avere sempre più consensi, aggiungendo nel proprio roster artisti come Jochem Paap aka Speedy J, Master G e Kenny Larkin.

Una nuova avanguardia Techno stava definitivamente spalancando le porte nella scena tradizionale, creando un’apertura tra la prima generazione e quella che verrà definita la seconda ondata di Techno generation. La prima aveva raggiunto il picco proprio nel 1988 e ’89, con la popolarità di artisti come Black Baxter, Derrick May, Kevin Saunderson, Chez Damier e, una una volta che la musica Techno divenne un vero e proprio genere a tutti gli effetti, una seconda generazione di artisti comandati sempre da icone come Jeff Mills, Carl Craig e Octave One, per citarne alcuni, inizia a farsi strada; e il giovane Richie Hawtin, in punta di piedi (ma nemmeno troppo) gli si presenta alla porta picchiandoci sopra coi pugni chiusi.

Il 1993 sarà ricordato come l’anno d’oro di Hawtin, dato che insieme alla release su Warp, in attività già da cinque anni, arrivano le prime uscite come Plastikman, dettate definitivamente da sonorità presto riconducibili al suo nome e che tracciano un solco incontestabile sulla scena. Dopo alcuni singoli come la devastante “Spastik” su NovaMute, sulla + 8 pubblica prima l’album “Sheet One”, mentre l’anno seguente “Musik”. Lavori che risultano inesorabilmente responsabili dell’introduzione definitiva dei bianchi americani nella cultura Techno. Ma non solo, “Sheet One” prima di tutti, registrato in sole 48 ore di sessione in studio e “Musik” successivamente, possono essere visti come complici della definitiva estetica Minimal nella cultura rave globale.

Così, popo la nascita della Techno come musica per lo più afro-americana, trova ora impronte anche nei primi lavori di Hawtin nei panni di Plastikman, artista in grado di fondere la irremovibile resistenza dell’Acid House, con un elegante stile Minimal. Tracce come “Spastik” e “Gak” sono dei veri e propri classici che continuano a posizionarsi per molti, tra le sue migliori tracce. Ed è stato proprio sotto lo pseudonimo Plastikman inoltre, che il suo suono si è definito, migliorato e affermato del tutto. Con la Roland TR-303 e TR-909 che vengono spinte per calibrare perfettamente l’anello che collega la Techno di Detroit alla Acid House, nata a Chicago durante la seconda metà degli anni ottanta.

Nel 1995 un passaggio tanto curioso quanto propiziatorio e da non sottovalutare. In un articolo pubblicato da The Wire, fu recensendo il primo album pubblicato sotto lo pseudonimo di Plastikman, “Sheet One”, da Karlheinz Stockhausen: uno dei compositori più all’avanguardia del XX secolo. Rivolse le sue aspre critiche a Hawtin per l’uso di ritmi africani ripetitivi e suggerì all’artista di ascoltare la sua composizione del 1959: ciclo per un percussionista. Criticò aspramente anche la musica di altri tre colossi protagonisti della scena elettronica degli anni novanta: Aphex Twin, Scanner e Daniel Pemberton; dei quali non apprezzò le produzioni di quelli che definì “technocrati” e che diventarono poi, moderni antesignani del genere. (vi invito a leggere questo articolo di approfondimento). 

Nel 1996 arriva il momento di diventare Concept 1 e rilasciare un box set limited edition realizzato dopo un breve periodo di crisi causato dal trasferimento forzato dal titolo “01:96 – 12:96”. Pubblicato poi in CD come “Concept 1-96:CD” sulla M_nus Record nel 1998. Ogni EP del box è composto da due brani (le due lettere dell’alfabeto) creati ogni mese e ciascuno dei quali attesta una sua evoluzione tecnica progressiva. Lo scopo è stato quello di rimettersi in gioco pubblicando meticolosamente e forzatamente 24 brani in 12 mesi. Una suite suddivisa in trentotto brevi movimenti che copiano apertamente le composizioni di altri musicisti, e che ha creato due filoni di pensiero differenti nella cerchia dei suoi sostenitori.

Da un lato c’era chi pensava che l’album evidenziava un’improvviso calo di creatività. Mentre dall’altro troviamo tutti coloro che sosteneva fosse la mossa giusta per permettergli di rimettersi in gioco, a livello creativo e tecnico, consentendogli poi di progredire nella sua ricerca verso sonorità indirizzate ad un nuovo ascoltatore, più vicino a sonorità Space Sonic. Un ascoltatore “liquido”, come ha sempre sostenuto, dato che il nome Plastikman infatti, è stato scelto proprio per quello.

Il 1997 vede l’uscita dell’EP “Sickness” ma anche l’anno in cui la + 8 si ferma per poi riapparire nel 2000 con “1990 – 1997: Plus 8 Classics”. La label ha rilasciato negli anni musica con gli stessi standard stabiliti il giorno della sua nascita, lavorando con artisti come Adam Beyer, Electric Deluxe (Jochem Paap), Paco Osuna, Tiga, Taksi, Dreamlife, False, Alex Under, Alexi Delano & Xpansul, Baby Ford & Eon, Link, Lemon8 e Speedy J solo per citarne alcuni.

Nel 1998 arrivano gli ultimi album, “Consumed” e “Artifakts (BC)” anche come Plastikman, per ricomparire nel 2003 con “Closer”, un album dal minimalismo oscuro e profondo e nel 2014 con “EX”. Nell’album “Consumed” Hawtin gioca sulla sperimentazione, con le frequenze ultra basse e con tecnicismi cupi legati alle influenze delle monumentali produzioni di Aphex Twin e Autechre di quegli anni. Da “Contain” fino a “Passage (Out)“, le undici tracce da cui è composto ti lasciano intuire la direzione che prenderà tutto il disco; ossia quella dell’estremizzazione, della ripetitività elettronica, dal minimalismo Techno fino alla Ambient Music. Percorrendo una pista onirica fra la materia sonora e un viaggio nei meandri più reconditi e bui della propria mente.

Artifakts (BC)” invece, per molti (anche per me) è probabilmente il lavoro più bello, multiforme ed oscuro della sua carriera. Settantadue minuti che escono completamente dagli standard in linea con la Techno prodotta in quegli anni. L’album si apre con “Korridor” e “Pakard“, traccia che presenta una struttura prettamente Ambient Techno passando per “Psyk”, realizzata sulla stessa struttura ma con delle dilatazioni sonore più veloci, fino ad arrivare a “Lodgikal Nonsense”, un brano in cui viene manipolata una voce e nient’altro. Il risultato è un lavoro talmente sperimentale da inserirsi tra le migliori produzioni di Richie Hawtin, ma anche tra i migliori album del genere in assoluto.

Il 1998 è anche l’anno in cui fonda a Berlino una nuova Label, la M_nus. In attività da oltre un ventennio, l’etichetta rappresenta sia un trampolino di lancio per i suoi nuovi progetti, che rooster per il lavoro di artisti come Thomas Brinkmann, Teorema, Marc Houle, Magda, Ambivalent, Sven Vath e il monumentale produttore ambientale Pete Namlook (alias di Peter Kuhlmann).

Nel 1999 oltre alla collaborazione con Carl Craig al progetto “Innerzone Orchestra“, rilascia per la quarta volta a nome Richie Hawtin (la prima con “Call It What You Want!” nel 1997, poi con gli Ep “005” e “006” nel 1997) “Minus Orange” e la mastodontica compilation “Decks, EFX & 909”, un monumentale di 38 tracce al cui interno trovano spazio artisti come Jeff Mills, Richard Harvey, Surgeon, Ben Sims, Ratio, Nitzer Ebb (ricordate cosa vi ho scritto all’inizio sulla loro influenza verso l’artista), Vladislav Delay e Marco Carola.

Siamo nel 2000 e in poco più di dieci anni, Richie Hawtin è diventato uno dei Dj più famosi e quotati del pianeta.

Tracciare una sequenza completa del percorso artistico più recente, come lo è per tutti gli anni di attività del resto, è ovviamente riduttivo, parziale e sufficientemente pretestuoso (in quanto personale). Diciamo che dal 2000 in poi la scena cosmopolita dei set ultra pagati iniziano a essere molto più presenti, obbligando Richie Hawtin a restare sempre più lontano dalla macchina produttiva per lasciare spazio alle serate e ai festival più richiesti e (qualcuno forse dissentirà) “blasonati” del pianeta. L’underground e gli scantinati buoi e fumosi sono storia passata, tanto che dal 2004 al 2009 sono più 400 gli show, tra i quali molti festival, ai quali partecipa in tutto il mondo. Nel 2012 cominciano gli eventi ENTER allo Space di Ibiza, che portano Richie costantemente in giro con il suo jet privato. A capodanno del 2014, in due giorni, partecipa a quattro Dj set in quattro città diverse: Wuppertal, Milano, Madrid e Barcelona.

Nel 2014 pubblica l’album “EX” su NovaMute, una live-session di circa un’ora registrata il 06 novembre 2013 in occasione dell’International Gala del Guggenheim di New York. Sette tracce nuovamente come Plastikman che non entusiasmano e che non presentano niente di nuovo (il titolo EX potrebbe esserne un messaggio per indicare che siano tracce datate); che verrà poi definito da Fred Thomas di AllMusic:

“The sounds are by turns troubled, angry, isolated, and wonder-struck in ways that only Hawtin can sound, and Ex adds another mysterious chapter to the Plastikman story”

Nel 2016 realizza insieme allo sviluppatore Andy Rigby-Jones il mixer PLAY differently MODEL 1. Assemblato in Inghilterra da DigiCo e Allen & Heath, il MODEL 1 è un mixer a 6 canali più due ritorni stereo. Preso dalla necessità di creare un mixer adatto alle aspettative dei moderni performer della musica elettronica, mette sul mercato mondiale un mixer che sia in grado di essere anche un vero e proprio strumento, dalla qualità senza compromessi e con funzioni che possano liberare una nuova onda di creatività. Inserisce caratteristiche uniche quali un controllo drive sui preamplificatori degli ingressi, filtri/eq ibridi su ogni canale, doppio sistema di pre-ascolto, possibilità di interconnessione per unire due mixer in un unico sistema e la presenza di connettori Tascam DB25 bilanciati.

Orientandosi sempre di più come vero e proprio imprenditore più che come prolofico producer come prima, diventa un fine conoscitore di sake, fondando una propria personale linea, la ENTER.Sake, in collaborazione con sei diverse fabbriche giapponesi della bevanda alcolica. Da molti anni infatti è anche un grande estimatore del Giappone e della sua cultura. Tanto che i catastrofici eventi naturali del 2011, portano Hawtin e la sua etichetta Minus a scendere in campo per aiutare il Giappone a rialzarsi con “Minus Hearts Japan”, una serata il cui ricavato è stato devoluto a fondo benefico e con ospiti come Ambivalent, Troy Pierce, Marc Houle e Hobo.

Richie Hawtin compie oggi cinquant’anni, e anche se per qualcuno resta un personaggio controverso musicalmente, con oltre un trentennio di scena alle spalle diventa inevitabilmente una delle figure che hanno contribuito alla formazione delle sonorità Techno mondiali; e che viene doverosamente inserito tra i pionieri di una rivoluzione impensabile. Hawtin fa parte di quella schiera di artisti che sono stati in grado di unire la ricerca sonora alla tecnologia, cambiando le regole di un gioco che era prevalentemente legato al vinile.

E’ tra i responsabili ad aver introdotto un nuovo modo di fare Dj set; dove ogni serata diventa improvvisazione nella scelta delle tracce da mixare, aggiungendoci live, drum machine e campionamenti sonori attraverso sintetizzatori. Ha cercato di smitizzare la figura di Dj che resta dietro una console buia dove nessuno capisce cosa stia facendo, dando la possibilità all’ascoltatore di salire sul palco insieme a lui e vivere il live in modo interattivo (grazie alla sua App CLOSER rilasciata nel 2019); in modo che tutti possano interagire, guardare e capire che dietro le macchine e la musica, esistono delle mani e un volto umano a farle muovere: quello di Richie Hawtin.


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