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Sama’ Abdulhadi, la regina della techno palestinese, è stata arrestata per aver suonato nel sito archeologico-religioso di Nabi Musa, posto tra Gerico e Gerusalemme.

La giovane e talentuosa artista Sama’ Abdulhadi protagonista della BoilerRoom Palestine 2018, icona della musica elettronica, delle donne e della lotta alle oppressioni è trattenuta in carcere dall’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) con l’accusa di aver profanato un luogo religioso e violato le norme sanitarie in vigore.

Il problema è che, da quanto risulta, Sama’ aveva il permesso ufficiale, tanto che la famiglia Abdulhadi ha rilasciato una dichiarazione dicendo che la DJ aveva ricevuto un’autorizzazione dal Ministero del Turismo e che l’evento, in forma privata, si è tenuto in una sezione lontana dalla moschea che si trova nel sito, in un’area aperta con non più di 30 persone munite, la maggior parte, di mascherine. Negando con veemenza che il concerto fosse un party di “adorazione del diavolo” come era stato denominato da alcuni fanatici religiosi via social.

La vicenda risulta surreale ma allo stesso tempo è delicata e intricata. Subito è stata lanciata una petizione per la sua liberazione immediata.

Il fatto si è svolto nel weekend di Natale presso il sito di Nabi Musa, ritenuto il luogo di sepoltura del profeta Mosè, ma è anche un luogo di interesse archeologico e turistico. Negli ultimi tempi il governo palestinese e soggetti esteri stavano investendo molto nell’area e anche la DJ stava producendo dei video, per promuovere la Palestina attraverso la musica elettronica, commissionati da Beatport.


In un’altra nota da parte della famiglia di Sama si legge infatti:

“Sama’ sta producendo dei video sulla musica elettronica in Palestina, filmati in siti archeologici. Ha ottenuto il permesso dal ministero del Turismo, considerato che le riprese sarebbero state fatte nel cortile, che è separato dalla moschea e non è sotto la giurisdizione del WAQF (autorità preposta alla gestione dei luoghi sacri per l’Islam, ndr)“.

Le autorità competenti, Ministero del Turismo e quello per gli Affari Religiosi, hanno negato di essere state coinvolte e si sono rimpallate le colpe. Nel frattempo il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh ha annunciato la creazione di un comitato investigativo per indagare sull’accaduto. Unico risultato è che a Sama’ Abdulhadi, il 29 dicembre, è stata prolungata l’incarcerazione per altri 15 giorni con la motivazione che la techno non è parte della cultura palestinese.

Ultimamente però è stata pubblicata anche la documentazione che prova la legalità dell’evento rendendo illegale l’arresto di Sama’.

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Tutto è esploso dopo la pubblicazione di alcuni video sui social che hanno generato scandalo e turbato i giovani musulmani, i quali si sono perfino recati sul posto, a quanto sembra, interrompendo l’evento. Mentre, nei giorni seguenti è avvenuta la distruzione di parti di quello che doveva essere un hotel costruito per incentivare il turismo, ci sono state delle preghiere sul luogo sacro per espiarlo dagli ‘atti impuri avvenuti’ e, soprattutto, cosa più triste, Sama’ è stata vittima anche di attacchi mediatici e minacce verso la sua persona, per poi essere arrestata.

La vicenda assume, quindi, sempre più tinte scure e la paura è che la fenomenale DJ palestinese sia stata presa come capro espiatorio per placare la rabbia dei fedeli e di buona parte dell’opinione pubblica, onde evitare critiche al governo. Non è la prima volta che un evento techno viene osteggiato perché percepito come musica occidentale e quindi associato all’occupazione d’Israele. Ma a pensarci bene come ha detto il fratello di Sama’, Seri, neanche il violino e il pianoforte fanno parte dell’eredità palestinese, musicalmente non ci potrebbero essere ne l’hip-hop ne l’orchestra. Poi il fatto di venire da una famiglia conosciuta, già sua nonna era una nota femminista e scrittrice, e di essere una donna, emancipata, anticonvenzionale e libera in una società ancora fortemente patriarcale di certo non aiuta, anzi.

Quello che emerge è l’evidenza di profondi problemi di carattere politico, religioso, sociale ed economico ancora irrisolti nella zona, che hanno lasciato un sostrato culturale e generazionale sfibrato e diviso il quale si rispecchia su tutti i livelli. Su questo, però, bisognerebbe riflettere molto a lungo.

Noi ci auguriamo solo che Sama’ Abdulhadi venga rilasciata al più presto e che la sua musica continui a suonare senza repressioni e censure!

#freesama