L’est Europa potrebbe essere la prossima area dove la scena techno e in generale il clubbing potrebbe esplodere, o comunque vedere una crescita destinata a far diventare pilastri fondamentali alcune città che stanno accogliendo questa cultura.
Una zona in continua crescita per la scena techno e per il clubbing è l’est Europa. Lì pare che sopravviva uno spirito che nelle capitali più occidentali si sta progressivamente perdendo.
Si è detto che negli ultimi anni, più della metà dei club britannici abbia chiuso. L’ultimo di questa triste catena è lo storico Fabric, che si porta nella tomba diciassette anni di musica con la sciagurata, recente chiusura. Questa chiusura ha purtroppo anche un forte valore simbolico, dal momento che la caduta di un’istituzione del genere potrebbe essere un segnale di cambio di paradigma, come a confermare il tentativo di chiudere un’epoca da parte di chi ha in mano le chiavi di un quartiere e di una città.
Altrove, in Germania, la scena techno sembra tenere botta e recentemente il Berghain ha ricevuto il titolo di luogo di alta cultura. Ma in un qualche modo si avverte anche lì aria di declino, dal momento che molti locali hanno chiuso (anche se molti altri hanno aperto) e le serate paiono sempre più popolate da turisti, che stanno diventando la fetta principale di fruitori dei club, con il forte rischio di appiattire tutto su una filosofia di moda e di consumo. La gentrificazione avanza ovunque ed il prezzo da pagare è la perdita di identità, di tessuto sociale che gravita attorno ai club e che di riflesso si ripercuote sullo stato di salute dell’intera scena techno.
In Italia sforniamo grandi, grandissimi talenti, ma siamo sempre indietro su quello che Fabrizio Lapiana ha recentemente definito il “sistema”, cioè tutta la rete di entità che operano nella scena techno e che dovrebbero auspicabilmente marciare al passo con le altre piazze europee. Le cause, in questo ambito, possiamo facilmente immaginarle quando pensiamo ai mille problemi di vedute economiche e culturali del nostro paese, nonostante nei primi anni ’90 abbiamo dato molto e saremmo potuti diventare un punto di riferimento stabile.
Ma sembra esserci vita appena fuori dalla fascia degli asteroidi dell’Occidente. Varsavia, Mosca, Tblisi, Belgrado, Kiev, e i paesi Baltici. Queste sono le città dell’Est Europa dove ultimamente i viaggiatori riportano esperienze esaltanti. Sono città che iniziano a comparire sempre più spesso nei calendari degli artisti. Si parla del “Luzztro” di Varsavia: un piccolo locale infernale dove dicono “il diavolo va a ballare”.
C’è stato fino a due anni fa lo storico “Arma 17” di Mosca, un colossale edificio industriale che può contenere fino a novemila persone dove non mancano eventi lunghi due giorni filati, purtroppo ora chiuso. C’è l’impronunciabile Mtkvarze, ex ristorante di stile sovietico a Tblisi convertito in club; o nella stessa città il Bassiani ricavato da una ex piscina e gestito da due venticinquenni, Tato Getia e Zviad Gelbakhiani. E ancora il Drugstore di Belgrado e il Cxema di Kiev.
Non solo questi posti stanno guadagnando la visibilità di chi può permettersi di invitare DJ di caratura internazionale, non solo si tratta di venue che ospitano anche molti validissimi artisti locali, ma parliamo di un ambiente – nel senso più ampio del termine – che pare cogliere un senso più autentico della vita notturna e della musica che la riempie di vita.
Probabilmente a far fiorire la scena techno è stata una combinazione di elementi favorevoli: affitti bassi e costo della vita basso, una marea di spazi inutilizzati da riqualificare (e l’architettura sovietica, va detto, si sposa divinamente con una festa techno), e una popolazione giovane, creativa, con spirito di iniziativa e di riscatto.
Naturalmente in Est Europa non mancano i problemi, come una politica di tolleranza zero verso l’uso di droghe – il chè se da un lato scongiura episodi alla Fabric, da un altro rifiuta qualsiasi compromesso senza concedere nulla, dal momento che ad esempio in Georgia non esiste il concetto dose minima consentita, per cui anche per un nanogrammo di droga si rischiano dai cinque agli otto anni di carcere.
Un altro problema è una generalizzata arretratezza culturale nei confronti di ciò che, con enorme fatica e nell’arco di decenni, si sta conquistando ora in Europa, ossia l’affrancarsi dalle discriminazioni nei confronti di minoranze etniche e sociali, omosessualità in primis.
Da un altro punto di vista, questi ambienti e questa scena che va sviluppandosi offrono proprio il rifugio e quella che Theo Parrish definisce amorevolmente “solidarietà”, ossia il principio di accoglienza e felice accettazione per cui vengono meno certe distinzioni e certe apparenti divisioni nel momento in cui tutti insieme si vive una festa. E’ un po’ il pensiero di fondo di quello che fu il movimento rave degli anni ’90, l’unico e l’ultimo impulso all’amore incondizionato dopo il movimento hippy.
Ma soprattutto c’è un elemento forse ancora più importante, che va oltre la musica, o meglio, che fa della musica underground il trampolino per gettarsi in una certa voglia di modernità: il primo barlume, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, di una rinascita dell’est Europa, di un nuovo brulicante sottobosco di quei paesi dell’est nuovamente fertile che ha voglia di proporsi e tornare a partecipare al mondo.
Sta forse nascendo una nuova identità, un nuovo capitolo per generazioni che hanno voglia di rivolgersi al futuro e costruire qualcosa, con la scena techno che ancora una volta sarebbe la voce di questo grido e di questo impulso di cambiamento.
Paolo Castelluccio