Ieri è prematuramente scomparso l’artista finlandese Mika Vainio all’età di 53 anni, le cause non si conoscono.
Ieri pomeriggio, cogliendo tutti di sorpresa, Mika Vainio ci ha lasciati. L’artista finlandese è mancato in Francia all’età di 53 anni, per cause che ancora non è dato sapere.
Guardando indietro, di lui resterà un’enorme discografia che rispecchia un’implacabile ricerca sonora. Un’ossessione per il suono che ci ha ricordato alla lontana John Coltrane. Con una differenza fondamentale: la dedizione esplorativa di Coltrane avveniva tramite il sax, mentre Vainio adopera la sintesi sonora, che praticamente non conosce limiti sul piano timbrico.
Per cui non si stanno paragonando John Coltrane a Mika Vainio, per una serie di ovvi motivi, ma i due probabilmente condividevano quella sensazione di impossibilità a trovare un punto di arrivo, che li portava quindi a cercare sempre più in profondità il suono universale, assoluto – tra saturazione di valvole, ritmi binaurali ed esperimenti al limite dell’ambito strettamente musicale.
L’esplorazione di Mika Vainio è quasi scientifica, ma al contempo mistica. Le sue produzioni spaziano da un sound design estremamente pulito, con arrangiamenti rarefatti e minimalisti, arrivando fino a muraglioni di noise che montano inesorabili come una marea, di fronte ai quali ci sentiamo piccoli ed indifesi. Talvolta, addirittura, la componente “ordine” convive con la componente “caos” e troviamo nella sua vasta discografia una quantità di solidi ponti tra i due mondi: brani che collegano in un aureo equilibrio e in una spontanea continuità tutti gli estremi di Mika Vainio.
Iniziò con Techno e Acid House, quando per lui questi generi ai loro albori comunicavano novità e sonorità inedite. Progressivamente disinnamoratosi, li ha abbandonati per avventurarsi in altri lidi, sia come produzioni che come ascolti, andando a prediligere l’assolutezza di noise e classica.
Per celebrare una mente tanto geniale (e chi scrive detesta l’abuso del termine “geniale” che ultimamente viene attribuito ad ogni mezza idea, anche stupida, in cui ci si imbatte nella quotidianità), ed è proprio questo il caso di dire “geniale” senza paura o timore di esagerare, abbiamo voluto scegliere alcune tracce rappresentative, che in un qualche modo possano rendere giustizia alla sua visione del suono e della musica. Passeremo attraverso vari suoi progetti, le cui release hanno preso diversi moniker, oltre al nome di battesimo, come Pan Sonic (fondati nel 1993, in duo con Ilpo Väisänen), o come Ø. Cerchiamo di procedere in ordine cronologico.
Ø – “Olematon” – Atomit EP
La prima, risalente al lontano 1995, è “Olematon”, parte di un EP con più di un riferimento scientifico. Innanzitutto è uscita sulla Pi Recordings, ma cosa ancora più curiosa è la title-track che porta un “Niels Bohr edit”, dal nome dell’ideatore del modello atomico dell’idrogeno. La traccia è stata scelta per il bell’incastro poliritmico che crea il beat (regolare, in 4/4) con l’arpeggio portante del brano che invece è in 7/8, andando quindi a cadere a rotazione in punti diversi della battuta. I tendenzialmente “difficili” tempi dispari quindi trovano una comoda leggibilità in totale naturalezza.
Pan Sonic – “Murto” – Osasto EP
Un brano che sembra uscito dal 2017. Oggi si sta facendo strada una Techno industriale senza compromessi, distortissima, cattivissima, scura e decisamente al limite. Molto interessante nei suoi esperimenti e nei suoi strumenti del mestiere, fondamentalmente inseparabile dalla filosofia dei sintetizzatori modulari sempre più diffusi. E’ una rinascita della parte più rave della Techno, dei suoi suoni più grezzi e disarmonici, poco umani. Questo brano però è del 1996, attualissimo e in continuità con il presente. Quando fu composto, però, era più che altro in continuità con il futuro.
Pan Sonic – “Haiti” – Katodivaihe
L’inquietante incedere di un mostro, di una creatura del “sottosopra”, per usare un termine alla Stranger Things. Parte di un disco molto particolare dove compare anche un violoncello, integrato nelle saturazioni e nei ronzii che pervadono il panorama sonoro. La copertina di “Katodivaihe” è assolutamente eloquente: valvole, le quali a loro volta rimandano ad un’intera scuola di pensiero musicale. E’ come se la musica veramente moderna, dagli anni ’60 in poi, diciamo, sia partita proprio dall’utilizzo creativo di questo oggetto magico, portatore di saturazione, calore, distorsione, fisicità.
Ø – “Vastus” – Oleva
L’anno seguente, nel 2008, è uscito il fantastico “Oleva”, da cui abbiamo voluto scegliere due tracce per motivi di affezionamento personale. “Vastus” ha un titolo che in italiano (o in latino) rimanda subito a spazi aperti, deserti, ampi, appunto “vasti”. I suoni acuti, puntiformi che si sentono nel brano evocano cieli stellati e natura. Eppure, sorpresa: “Vastus” in finlandese significa “resistore“, quindi ci spostiamo immediatamente da scenari paesaggistici al regno dell’elettronica e dell’elettromagnetismo, immaginario decisamente congeniale a Vainio.
Ø – “Set the Controls for the Heart of the Sun” – Oleva
Con “Oleva” non è facile limitarsi, dato che i brani si eguagliano molto in bellezza. Stavamo per scegliere “S-Bahn” ma all’ultimo non abbiamo potuto fare a meno di scegliere questa. Abbandonando un momento quella sorta di fondamentalismo che spesso affligge la musica e ci fa vedere le cover sempre sotto un’alone di oltraggio, siamo di fronte ad una personale rielaborazione di un pezzo niente di meno che dei Pink Floyd. Completamente smantellato ma preservato nella sua anima, vagamente sinistro per via del suo tema che sale e scende in maniera quasi cromatica. Effettivamente il Sole e in generale i corpi celesti sono un connubio tra la fisica, spesso richiamata da Vainio in tutta la sua discografia, e un misticismo stavolta più floydiano.
Pan Sonic – “Pan Finale” – Gravitoni
Usciamo per un momento dal magma, dal brodo primordiale e cosmico dal quale Mika Vainio attinge per plasmare i suoi suoni. Qui chiaramente non manca la firma stilistica dell’artista, in duo con il suo socio Väisänen, ma siamo di fronte a un ritmo decisamente più condensato, generato da una tradizionale e “mondana” drum machine, anche relativamente poco processata nel suono. Un’impalcatura familiare per far spazio alle nebulosità melodiche e meno melodiche che troviamo al di sopra, sospese.
Mika Vainio – “Heijastuva” – Heijastuva
Chi ha detto che il noise sia sempre difficile e sinistro? Questo brano è la prova che un sapiente uso del rumore e della distorsione partecipano a una certa dolcezza e naturalità di un brano fondamentalmente luminoso. Non vi vogliamo dire altro, restiamo in silenzio mentre una leggera corrente vi trasporta al largo per un momento di calma. Per usare una sua espressione felicemente sinestetica, questi sono suoni più grigi e blu. Ricorda vagamente un Seefeel del disco omonimo.
Mika Vainio – “In Silence a Scream Takes a Heart” – Life… It Eats You Up
Di fronte a un album con un titolo del genere (“La vita.. ti si mangia vivo”) c’è poco da dire. E’ uno schiaffone da prendere e basta. Tutto il disco, in realtà, ti prende a schiaffi. Forse uno dei suoi lavori più scuri e terribili. Abbiamo scelto la traccia di apertura, che è anche la più lunga dell’album. Di questi tredici minuti e oltre, i primi sette sono costituiti da suoni a metà tra cancelli che cigolano e strumenti ad arco che vengono accordati.. all’Inferno. Da poco oltre la metà prende piede un wall of sound a dir poco spettacolare. E’ difficile descriverlo, e non tutti sono d’accordo quando si reputa “bello” un suono così challenging, ma a livello di sound design non è affatto scontato saper generare un’atmosfera del genere. Anzi. A livello di intimidazione e sensazione di impotenza che suscita, riesce a essere più efficace della più opprimente cattedrale gotica di tutto il Belgio.
Mika Vainio – “Load” – Kilo
Ad un seminario sulla Drone music tenuto da Enrico Cosimi, ricordiamo una frase tanto semplice e razionale quanto inattaccabile: “se non ti piace subito, fai prima ad andartene, perchè è difficile che ti piacerà dopo dieci o venti minuti“. Si parlava per l’appunto di come la Drone Music sfidi la definizione non solo di piacere, ma anche di sopportabilità all’ascolto. Il suono di un drone ti avvolge e ti scuote, ti maltratta, e richiede anche una certa abituazione per essere apprezzato a dovere. Un drone può essere molto rumoroso e impegnativo, ma una volta dentro a quel suono si sperimenta un piacere particolare, effetti psicoacustici insoliti e irriproducibili con altri generi ed esperienze sensoriali. Questo brano non è Drone Music per il semplice motivo che dura solo sei minuti – in cui fa in tempo ad evolversi in una scala temporale molto più veloce rispetto alla Drone Music – e soprattutto ha un beat. Ma il principio, riguardante il suono portante principale, può essere comunque applicato.
Bonus Track:
Pan Sonic – “Druse” (Muslimgauze cover) – Occupied Territories
Facciamo un salto nel passato per localizzare questa perla dei Pan Sonic, datata 1996 e che figura in un album di remix di Muslimgauze. Muslimgauze, a.k.a. Bryn Jones, è un artista inglese, anche lui scomparso precocemente nel 1999, spesso passato inosservato ma di grande spessore. Registrava in maniera molto rudimentale (forse anche intenzionalmente rudimentale) beat di percussioni etniche che combinava a campionamenti presi dai suoni del medio-oriente: radio egiziane, canti di preghiera (non ditelo a Dax J), mercati marocchini, musiche tradizionali iraniane, siriane, telegiornali, e altri tipi di sample. Tutto ciò a sua volta combinato a beat ogni tanto decisamente dubby, ogni tanto più acustici. Il risultato è stupefacente, ma occorre una guida per orientarsi nella sconfinata produzione di Jones. I Pan Sonic hanno preso il brano “Druse”, l’hanno svuotato quasi completamente e gli hanno dato ulteriore profondità nel range delle basse (come se non bastassero), restituendo il suo incedere ipnotico. Al centro del cranio va a tendersi un drone, questa volta piuttosto delicato ma persistente, come quando si rimane abbagliati da una macchia davanti agli occhi dopo aver guardato direttamente una luce forte. Un fenomeno del genere, ma in versione acustica. Strano a dirsi, ma un suono del genere non è spiacevole.
Forse proprio questo è stato Mika Vainio per il mondo della musica: un artista che meglio di molti altri ha saputo insegnarci che il noise non è un frastuono gratuito, piacevole e divertente solo per chi fa rumore, quindi totalmente inutile ed insensato per l’auditorio. No. Purtroppo esiste anche quel noise, ma riteniamo che quello di Vainio rientra nella definizione di musica perchè ha un’estetica, uno studio dietro, un’anima, come una roccia scolpita che ora parla, descrive qualcosa e si è tramutata in arte.