L’edizione 2019 del Sónar Festival è stata per certi aspetti una delle più difficili e tormentate che l’evento catalano abbia vissuto negli ultimi anni. Qual è allora l’ingrediente segreto che riconferma, quasi ce ne fosse ancora bisogno, il Sónar come uno dei festival più importanti del mondo?
In questa stagione, il Sónar ha dovuto far fronte a diversi imprevisti che lo hanno portato alla perdita considerevole di 20.000 presenze, fermandosi “solamente” alla quota di 105.000 dopo aver marcato negli ultimi anni una serie positiva da record. Lo sciopero organizzato dall’azienda responsabile di montare gli stage della sezione by day alla Fira di Montjuïc, il cambio di data e una line up che in quest’edizione ha strizzato l’occhio a sonorità latine che includono generi come trap e reggaeton, hanno sicuramente inciso sul numero di ingressi stagionali.
Partendo da questi presupposti è lecito dunque chiedersi se ci troviamo di fronte a una caduta di uno degli eventi più importanti e iconici del pianeta. La risposta alla domanda è, ovviamente, no. Il Sónar continua ad essere un punto di riferimento per gli addetti ai lavori di tutto il mondo, sia per quanto riguarda la musica, che per le novità nel settore della sperimentazione e dell’innovazione. Le cause del calo di pubblico sarebbero ricondurre solamente al cambio di data (che è stato un cambio che ha interessato solo il 2019), alle difficoltà logistiche dell’ultimo momento e a una line up che ha destato delle perplessità a una parte del pubblico più affezionato.
Inoltre, nonostante lo sciopero degli addetti al montaggio fosse qualcosa che riguardasse la Fira di Montjuïc e non il festival direttamente, il Sónar si è regolarmente svolto e ha superato le difficoltà logistiche, istituzionali e forse di cattiva informazione sulla vicenda, che si sono presentate a meno di 7 giorni dal via. La dimostrazione di forza del Sónar non finisce qui: l’impeccabile organizzazione, la qualità e diversità della proposta, la risposta del pubblico e degli artisti sono stati qualcosa di spettacolare. La sostituzione di Asap Rocky dopo il suo arresto a Stoccolma con Stormzy ne è stata un ulteriore prova. Il successo del festival si identifica specialmente con la vasta differenza di tipologia di pubblico che partecipa alla manifestazione: non solo clubbers e giornalisti di tutte le età, ma moltissimi curiosi e appassionati di musica in senso lato. Inoltre, sempre più imprenditori, fondatori di startup, investitori e ricercatori si avvicinano alle conferenze sulle tecnologie, sull’intelligenza artificiale e ai meeting che il Sónar+D promuove. Infine, provenienza dei partecipanti si divide su oltre 120 paesi e questo fa del Sónar uno dei festival europei più seguiti del mondo.
Terminata questa breve ma doverosa premessa, è giunto il momento di dare spazio alla musica e ai protagonisti di questo Sónar 2019.
Giovedì, Sónar by Day
Per la rinnovata attenzione verso i suoni inconsueti che provengono dall’emisfero meridionale del pianeta, del neo-femminismo, della cultura queer e intersectional, ma anche dei progetti sperimentali e delle collaborazioni inedite che sono stati i protagonisti di quest’edizione, lo scenario più idoneo è stato quello del Sonar By Day, la 3 giorni pomeridiana capace di elettrificare gli spazi della Fira de Montjuïc.
Un vero e proprio villaggio globale, forte di una virata decisamente ecologista (per la prima volta l’evento è stato dichiaratamente paper free e plastic free), dove ogni partecipante ha la possibilità di costruirsi la sua line-up alternando i set in programma con le conferenze e le sessioni professionali del Sonàr+D oltre ad un consistente numero di installazioni multimediali e di performance (peraltro diffuse anche in altri spazi della città).
Nel giovedì elettronico catalano l’attenzione ai ritmi del sud del mondo entra subito nel vivo: sul palco del Sònar Village è protagonista la cumbia digitale dei Dengue Dengue Dengue, il duo colombiano la cui battuta tipicamente andina, rigorosamente lenta, scandisce adeguatamente i minuti che scorrono prima dell’arrivo sul palco del Sònar Hall di una delle icone di questa edizione, il producer originario di Houston ma berlinese d’adozione Lotic, autore di “Power”, un concept album dal messaggio forte e diretto, che ruota intorno alla forza di rimanere se stessi vista dal personale punto di osservazione di una persona transgender.
Il suo show light design & music presentato in prima assoluta, denominato “Endless Power (realizzato in collaborazione con Emanuelle Biard) rimarrà un’immagine ben scolpita di questa edizione molto identitaria del Sònar.
Il warm-up pomeridiano del giovedì ha rappresentano anche l’occasione per confrontarsi con la line-up del Sònar XS, il palco dedicato esclusivamente ai progetti di ricerca, non necessariamente sperimentali, quanto originali e contemporanei. Particolare attenzione quest’anno alla nuova wave di turntablist come Shiva Feshareki, 32 enne anglo-iraniana, compositrice laureata al Royal College of Music e host sui canali web di Nts Radio, protagonista di una performance dove fisicità e suoni analogici hanno creato un ispirato diversivo dal corso principale dei main act pronti a rincorrersi tra HD e realtà aumentata.
Anche su ques’ultimo versante, tuttavia, sono i progetti dedicati a dettare la tendenza: su tutti l’AV tech show di Daito Manabe con il ricercatore scientifico Yukiyasu Kamitani, che ha incuriosito l’audience del Sònar Complex con un’originale traduzione in suoni e immagini della relazione tra la musica e il cervello umano; un esperimento volto a studiare le reazioni emozionali alle immagini e come esse modificano la nostra percezione della musica.
L’evento con maggiore hype del programma pomeridiano è stato, tuttavia, il set di Leon Vynehall che non ha di certo deluso le attese, regalando la giusta dose di beat sostenuti senza dare spazio a cedimenti ritmici al pubblico famelico di dare il via al rito collettivo e pronto a calpestare l’evocativo green grass del Sonar Village.
Non ha deluso i propri fan nemmeno il producer transgender venezuelano Arca, autore di un concept show audiovisivo di profonda teatralità e di grande potenza espressiva, tanto iconico dal punto di vista dei significati espliciti quanto ripiegato musicalmente su territori già ampiamente esplorati. C’era da attendersi qualcosa di più anche dal live di Ross From Friends, non fosse altro per la sua militanza nella fucina creativa Brainfeeder di Flying Lotus così come dal set conclusivo di Dan Snaith, qui sotto le mentite spoglie di Daphni, divertente, groovy, piacevolmente imperfetto nei cambi, con una selezione di gusto vintage retrò anni ’90 che ha incuriosito i clubber veterani.
Venerdì Sónar by Day + Rush Hour x Detroit Love
Nel programma di venerdì del Sonàr By Day ritroviamo con piacere una rinnovata attenzione verso l’interazione tra pianismo d’ispirazione classica ed elettronica: su tutti, il progetto originale Glassforms realizzato in prima assoluta dal duo formato dal musicista statunitense Bruce Brubaker insieme a Max Cooper, uno dei talenti della computer music più completi in circolazione. Peccato per la sovrapposizione con il nuovo show audiovisuale intitolato intitolato “Proto” presentato da Holly Herndon, andato in scena sul palco principale del Sònar Hall, accompagnata da una band di musicisti e coristi che hanno contribuito a conferire calore al’algido minimalismo delle laptop songs firmate dall’autrice dell’acclamato “Platform” (2015).
Un’altra perla di questa edizione scovata nel ricercato programma del Sònar XS è stato il DJ turntablist palestinese Muqata’a (il primo ad esibirsi al Sònar in 26 anni), un’istituzione nel suo Paese come membro del Ramallah Underground Collective, autore di un set molto ispirato, creativo e non convenzionale, denso di conflittualità, elementi distopici e spigolose atmosfere urbane. La ripresa pomeridiana del versante party oriented dell’evento è stata affidata alle piacevoli variazioni “traphousejazz”. come egli stesso ama definirle, del cantante e trombettista giamaicano, adottivo della East Coas, Micah Davis aka Masego, che ha confermato di essere uno degli artisti neo-soul più talentuosi in circolazione, forte dell’esordio discografico “Lady Lady” da poco pubblicato..
Un cambio palco veloce al Sònar Village ci porta nei cunicoli sotterranei di DJ Krush, il Maestro riconosciuto del turntablism, con alle spalle un’esperienza trentennale, che ha dato l’impulso definitivo ai bassi pulsanti che fino a quel momento era mancato al festival.
Una carica esplosiva senza esclusione di colpi che ha minato i padiglioni auricolari pur mantenendo un livello di BPM a geometrie variabili intorno alle ritmiche dell’hip-hop, come ci ha abituato sin dai suoi esordi. La dimostrazione del flusso sonoro travolgente che si può creare con due giradischi e un laptop.
Dopo l’esaltante performance di DJ Krush prediligiamo un’incursione al OFFSònar sulla collina del Poble Espanyol incuriositi dall’atteso party Detroit Love x Rush Hour, due distinti stage con una selezione di grandi performer della motor city da un lato, e del celebre record store e label olandese dall’altro. In questo viaggio ci facciamo accompagnare sino al tramonto da Moodymann, in un set davvero ispirato, dove tutto il suo soul power ha preso forma declinato secondo le attitudini house, deep e disco di cui Kenny Dixon JR è apprezzato interprete.
Durante la standing ovation conclusiva, drink offerti da Moodymann tra il pubblico in festa e l’occhio divertito di Carl Craig dalla console in attesa di salire sul palco dopo la tempesta techno di Stingray con il suo immancabile passamontagna nero. Giusto il tempo di riprenderci con una bella selezione house di Young Marco nello scenario sopraelevato dedicato al party Rush Hour per dirigerci rapidamente alla Fira Gran Via per il Sònar By Night.
Venerdì Sónar by Night
La nostra esperienza al Sónar by night inizia con il mastodontico live di Underworld al Sónar Club. Il duo ha fatto saltare per quasi un’ora e mezza gli appassionati con un sound che identifica perfettamente la musica techno ed elettronica inglese degli anni ’90. Inoltre, com’era prevedibile, il punto più alto della performance è stato raggiunto durante l’esecuzione di “Born Slippy”, club e festival anthem per eccellenza che ha sancito il termine della loro esibizione. Incuriositi dall’annunciato 6hr set di Sam Shepherd in arte Floating Points, prendiamo posto proprio di fronte alla console del SònarCar, lo spazio più raccolto e per questo forse più idoneo ad una selezione musicale. Tra il pubblico c’è anche Four Tet (che si esibirà più tardi) insieme a Daphni, che osservano divertiti il loro collega ricercatore britannico, strappato alle studio delle neuroscienze, armeggiare nella sua significativa collezione di vinili e armonizzare stili diversi in un set travolgente, dove bossa nova, raggae, soul, hip hop, disco, house, proto-ambient, suoni balearici e propaggini di bass music riescono magicamente a coesistere. La conferma di un artista ancora giovane che già diversi anni fa aveva dimostrato di avere una conoscenza musicale non indifferente oltre che un’innata attitudine da innovatore in ambito dance.
La miglior prestazione della nottata del venerdì è stata realizzata dai Disclosure. Nel momento in cui c’è stata la maggior concentrazione di pubblico (e calore) all’interno del Sónar Club, Guy e Howard Lawrence sono saliti in cattedra e si sono lanciati in un dj set che ha letteralmente fatto scatenare tutte le persone che sono passate per il Club tra le 3.35 e le 5.05 del mattino. I Disclosure hanno alternato produzioni proprie come “When A Fire Starts To Burn”, “White Noise” e “Latch” con sonorità che spaziavano dalla club house alla tribal house, avvolgendo il pubblico con un’energia positiva difficile da ritrovare, soprattutto quando accompagni il dancefloor da “Music Sounds Better With You” degli Stardust a “You And Me”, brano con cui è terminato il set. Chi invece non ha fatto un buon uso degli inni che spesso risuonano nei festival sono stati Peggy Gou e Palms Traxx: il loro back-to-back non è stato da strapparsi i capelli. I due sembrano aver fatto semplicemente il minimo sindacale, unendo “Hey Boy, Hey Girl” dei Chemical Brothers con “Starry Night” della Gou e “I Feel Love” di Donna Summer. Il resto dell’esibizione non ha impressionato particolarmente. Non vogliamo essere troppo critici nel giudizio, ma ci aspettavamo il guizzo che non è arrivato per chiudere in modo memorabile il Sónar Lab.
Sabato Sonar by Day + Innervisions Barcellona, OFFSónar 2019
Il gran finale del Sònar By Day di sabato vede come evento centrale il set di 3 ore di Theo Parrish, che il selecter e produttore di Chicago guida con la consueta originalità e responsabilità che lo ha contraddistinto durante tutto l’arco della sua carriera: la cassa è dritta così la traiettoria ben definita lungo 30 anni di house chicagoana sono quasi un compendio enciclopedico per chi se ne è nutrito nel corso degli anni e un’epifania per i più giovani che hanno avuto l’opportunità di vedere un top dj destreggiarsi come pochi sono in grado tra i solchi di vinili che hanno fatto la storia della musica da ballo, con perizia chirurgica, gusto e stile personalissimi.
Il programma ad elevato tasso di beat della sessione pomeridiana ha visto anche le performance dei Red Axes prima ed Erol Alkan poi, entrambi capaci di tenere alla giusta temperatura l’hype del pubblico festaiolo che ha prediletto lo spazio all’aperto del Sonar Village, mentre gli insaziabili hanno apprezzato il nuovo synchro live A/V in anteprima di Max Cooper accompagnato dai migliori visual visti nella sessione diurna del festival, insieme al controverso progetto minimalista e concettuale di Actress (supportato da un’ipertecnologica struttura visiva), l’alchimia andina e centro-americana della partecipata performance del DJ producer Nicola Cruz e, infine, altri due interessanti progetti dedicati al piano preparato (di ispirazione post-cageiana): il grand piano A/V live in solo del nuovo talento di casa Warp (lanciata tra gli altri da Daniel Lopatin) Kelly Moran e il duo virtuoso degli 88 tasti formato da Volker Bertalmann in arte Hauschka insieme a Francesco Donadello, degne conclusioni di una line-up del Sònar Complex particolarmente centrata sulla sperimentazione.
Nella prima serata di Sabato, prima di chiudere il Sónar Pub, Dixon si è esibito allo showcase della label di cui è fondatore, un party che per la varietà degli artisti e la bellezza della location si può quasi definire un festival nel festival. Sabato pomeriggio è infatti andato in scena al Poble Espanyol di Barcellona l’appuntamento di OFFSónar firmato Innervisions. Vediamo com’è andata quest’anno.
Il primo artista che abbiamo ascoltato in Plaza Mayor è stato John Talabot. Talabot, forse per l’orario in cui ha attuato, non si è mai mosso da una proposta melodica molto lenta e senza particolare fascino, concludendo un set decisamente sottotono rispetto a quello a cui ci ha abituato. Dopo di lui, il live di KiNK e Âme è stata la dimostrazione di come due grandi artisti con presenza, personalità e suond diversi possano dialogare e integrarsi a vicenda.
Prima dell’inizio dello show firmato Dixon e Âme siamo andati ad apprezzare un’Avalon Emerson che si conferma in uno stato di forma eccezionale. Il suo set ha fatto divertire i presenti con un groove squisitamente house e incalzante. Il sound systems dello stage su cui si è esibita purtroppo non ha valorizzato ne fatto apprezzare al meglio la sua selezione. Anche MCDE, incaricato di chiudere il bellissimo scenario del Monasterio, si è distinto con un set dove la deep house ha prevalso sulla disco che di solito caratterizza le sue performance.
Un capitolo a parte sarebbe da aprire per il back-to-back di Âme e Dixon. I due hanno riversato sul pubblico della Plaza Mayor un suond futurista che, senza troppi fronzoli, non ha fatto sconti. In quest’edizione di Innervisions Barcellona il duo ha davvero dimostrato una maturità sbalorditiva, alzando i bpm e differenziando di più la proposta. Dixon e Âme sono una sicurezza a tutti gli effetti anche nella gestione del concept Innervisions: distribuendo e suonando produzioni come “SKETCH 7” di Eagles & Butterfly ad esempio, e scegliendo location come quella del Poble Espanyol di Barcellona invitano gli spettatori ad uno spettacolo che innalza il vecchio concept di “Lost In A Moment” e lo portano ad un livello 2.0.
Alessandro Carniel & Fabrizio Montini Trotti