Se pensiamo agli albori della musica elettronica, alla sua nascita e alla sua diffusione nella Capitale, non possiamo non includere nella nostra storia Stefano di Carlo, figura chiave di uno dei collettivi più importanti della scena: The True Underground Sound of Rome.
“Secret Doctrine” dei The True Underground Sound of Rome è stato un disco che nel 1991 ha cambiato le carte in tavola, facendo emergere un suono che ancora oggi risulta fresco, innovativo e all’avanguardia. Proprio per questi motivi abbiamo deciso di fare una lunga chiacchierata con uno dei protagonisti della scena romana degli albori, con un artista vero che è stato uno dei pilastri del collettivo che ha prodotto “Secret Doctrine” e della Male Production. Stefano di Carlo è infatti uno dei massimi esponenti della musica elettronica italiana: musicista, arrangiatore, dj e produttore, Stefano ha dedicato trent’anni della sua vita alla musica, lasciando un segno che non si potrà dimenticare né cancellare.
Stefano di Carlo è infatti un punto cardine della scena underground romana degli inizi. Colui che, insieme a molti altri artisti, ha creato il movimento underground della capitale. Senza il suo lavoro probabilmente oggi staremmo vivendo un’altra epoca e raccontando un’altra storia. Ecco a voi Stefano, “The Underground Sound of Rome”.
Come ti sei avvicinato alla musica elettronica?
Mi sono avvicinato alla musica elettronica tramite mio cognato, anche se fino a quel momento avevo ascoltato e suonato prevalentemente rock psichedelico influenzato da mio padre, che mi ha cresciuto ascoltando i dischi dei Pink Floyd e Klaus Schulze. Mio cognato invece era un dj molto conosciuto all’epoca e suonava disco e funk nei locali. Verso la fine degli anni ’80 erano solamente due i disck jockey importanti a Roma: Massimo Berardi, mio cognato per l’appunto e Faber Cucchetti. Con Massimo iniziai a frequentare le discoteche e, in alcune occasioni, mi ha fatto addirittura usare uno dei campionatori di quel periodo, il Casio l’FZ1. Ma è stato soprattutto grazie a Luca Cucchetti, conosciuto tramite mio cognato Massimo, che sono entrato a stretto contatto con la scena dell’epoca. In Toscana insieme a Luca ho conosciuto Mauro (Tannino): anche Mauro faceva il dj ma aveva una proposta completamente diversa rispetto agli altri. Il suo suono veniva da Londra, città che frequentava con costanza e che lo ha introdotto alla sua scena rave.
Quindi è stato Mauro che in qualche modo ti ha potato verso quel suono particolare che ha caratterizzato le tue prime produzioni?
Sì, Mauro andando spesso a Londra frequentava un club che si chiamava Rage, in cui all’epoca suonavano pure i Prodigy. Insieme facevamo la stagione in una discoteca famosa di Porto Santo Stefano che si chiamava “Le Streghe”, molto frequentata anche dalla gente di Roma. Lì Mauro ha iniziato a passare la prima musica che oggi definiremo come underground.
E dalla Toscana come siete arrivati a Roma?
Al termine della stagione a Porto Santo Stefano Mauro mi disse che ci saremo sentiti d’inverno per provare a fare qualcosa insieme e mantenne la parola! Un giorno infatti, mi arrivò una sua telefonata a casa. Voleva fare un disco e, naturalmente, anche a me interessava avere la possibilità di sperimentare e fare musica. Ti racconto un aneddoto: il giorno del nostro primo incontro non avevo ancora la patente ma ho preso comunque la macchina di mia madre per andare da lui. È filato tutto liscio tranne al ritorno quando, rimettendo la macchina a posto, ho urtato una moto in retromarcia. Mia madre non ha mai saputo realmente cosa fosse successo quella notte…
Dopo quella sera ci siamo risentiti e abbiamo prenotato uno studio di registrazione per tre ore, entrando in contatto con Stefano Curti (con cui poi avremo avuto dei problemi per via della label anche se in quel momento non lo avremo potuto sapere). In quelle tre ore nacque “Secret Doctrine”. Al termine della registrazione Curti, ascoltando l’ep, ci disse che non avrebbe mai scommesso una lira sul suo successo: il destino volle che, grazie proprio a quel disco, abbiamo fatto il botto, sopratutto all’estero.
Prima di iniziare a produrre musica vostra cosa ascoltavate? Qual era il sound che dominava Roma nel ’90?
Beh lì è stato bravo Mauro, era lui che ci ha introdotto a quella musica. Personalmente sono rimasto molto colpito dagli Orb e dal sound londinese. C’erano anche produzioni molto interessanti che provenivano da oltreoceano, come ad esempio i primi Nervous. Inoltre, c’è anche un’altra cosa da dire: Mauro ci faceva ascoltare musica strana, sperimentale, perché in studio volava che facessimo quel tipo di musica. Nei dj set invece proponeva musica molto più spinta, quella che oggi definiremo come techno. Londra è stata importantissima per noi. Mauro l’ha scoperta andandoci con Lory D: frequentavano la scena inglese e portavano a casa i dischi che avrebbero poi riproposto a Roma. In questo senso Roma e il sound romano sono stati fortemente influenzati da quello che avveniva nella capitale inglese.
Insomma, è grazie all’incontro con Tannino che nasce “Secret Doctrine”?
Sì, e così è nata pure Male Production. Eravamo io, Mauro Tannino, Chicco Furlotti (che si occupava della produzione) e Leo Young, che curava le stampe (fu proprio lui a farlo stampare a Londra). Questo è The True Undergound Sound of Rome, un collettivo formato da me, Mauro, Chicco e Leo.
Mi pare che “Secret Doctrine” uscì in un numero di 500 copie promozionali su Male Production, prima di essere distribuito da UMM…
Esatto, le prime copie erano le nostre, uscite come Male Production, e poi ci siamo appoggiati a UMM. Era il 1990.
Come funzionava la distribuzione? Per un disco con un sound così innovativo non avete avuto difficoltà a venderlo?
Allora, per quanto riguarda la distribuzione siamo andati noi personalmente nell’unico negozio di Roma dove si poteva trovare musica elettronica underground che si chiamava Remix. L’altra parte invece, quella di UMM era destinata prevalentemente all’estero. UMM fu fondata proprio nel 1991, ed era un’etichetta della Flying Records con base a Napoli. Questi sono stati i nostri canali di distribuzione. UMM inoltre era gestita da Angelo Tardio, che proprio in quel periodo viveva a Londra. L’essere stato distribuito in Inghilterra ha aiutato molto sia la sua diffusione che il suo successo.
Il successo è arrivato subito?
Macché, qui no. Ci siamo resi conto del successo perché dopo qualche mese dall’estero cominciavano a chiederci le licenze.
Per te che musica era quella?
All’epoca D’Arcangelo l’ha descritta come “elettronica naif”. Io personalmente ho mischiato tutte le mie conoscenze e gli ascolti fatti fino a quel momento. Da mio padre che mi faceva sentire Morricone (infatti i violini sono suoi), a mia madre che sentiva il liscio, le influenze di Mauro Tannino, mio cognato. Io non avevo la più pallida idea di che musica fosse.
Dopo Secret Doctrine avete continuato a produrre altri dischi su Male Productions come The True Underground Sound of Rome vero?
Sì, creando subito anche altri progetti paralleli: Vibraphone e Synthetic. Male Production si è trasformata in Vibraphone, dove abbiamo continuato a produrre e pubblicare. Su Male siamo usciti con due dischi e poi Chicco ha prodotto l’ep dei The Order. Una volta fondato il progetto Vibraphone abbiamo incluso anche un altro musicista, Mauro Ruvolo: eravamo io, Tannino, Furlotti, Ruvolo e Curti. Vibraphone ha continuato a proporre il suono “celestiale” di Male mentre, dopo aver partecipato a dei rave a Francoforte con Bismark, ho voluto personalmente fondare Synthetic insieme a Tannino.
Synthetic ci ha permesso di lavorare su un altro tipo di suono che in quei tempi mi aveva colpito. Con Syntetic abbiamo venduto veramente centinaia di copie: facevamo una musica diversa, un genere che che poi è stato definito “Progressive” o Mediterranean Progressive. Ruvolo e Curti non facevano i dj, mentre io e Tannino con Synthetic volevamo crearci la musica che avremo proposto nei nostri dj set.
A proposito di dj set. Quando avete iniziato a fare musica tu e Mauro, la scena romana improvvisamente “esplode”. Ci racconti come è avvenuta quest’esplosione?
Il suono di Roma, come ti dicevo, deve molto alla città di Londra: prima di fondare Synthetic abbiamo vissuto lì io e Mauro. A Roma andava molto la techno anche se c’erano proposte alternative che si rifacevano alla garage house di Robert Armani. Una delle produzioni che ricordo di aver sentito spesso era “Plastic Dreams” di Jaydee (R&S Records). La mia carriera come dj a Roma inizia anche grazie a Mondo Radio, una radio importantissima che ha segnato la storia della scena romana grazie a Dj Vortex, che ha supportato molto Synthetic proponendo continuamente le nostre release.
Mondo Radio era l’unica fonte di informazione che potevi sfruttare per sapere dove venissero organizzate le feste underground. Siamo nel 1993, c’era un fermento incredibile intorno alla musica: sono stati degli anni che non si ripeteranno più purtroppo! Insieme a Bismark, Tannino e Vortex suonavamo spesso alle serate di Sergio Serafini al Club 06 sull’Aurelia. Ognuno di noi proponeva la propria musica e avevamo davvero molto seguito. È proprio grazie a noi che al Club 06 sono esplosero la progressive e la techno.
Come mai sul finire degli anni ’90 ti sei fermato e hai smesso di esibirti in dj set?
Mi sono fermato perché all’interno del gruppo ho avuto delle frizioni forti con Curti e perché alcune delle dinamiche che regolavano il mondo della musica hanno iniziato a non piacermi: vedevo che le agenzie mi pagavano poco e, allo stesso tempo, chiudevano contratti altissimi con le discoteche per le mie esibizioni. A quel punto non ho più voluto far parte di un sistema di questo tipo, dove molti cercano di copiare, addirittura rubare, quello che tu hai costruito negli anni. Ho preferito tornare in studio e dedicarmi alla produzione.
Io sono stato previdente perché, ancora giovanissimo, sono stato uno dei primi a iscrivermi alla SIAE. Ero ancora minorenne quando decisi di fare il musicista e la prima cosa che ho fatto è stato chiedere 200 mila lire a mia madre per iscrivermi. Prima mi sono iscritto, e poi ho iniziato a suonare, depositando le mie produzioni proprio per evitare spiacevoli equivoci che, nonostante ciò, si sono comunque verificati. Quello che conta però è sempre il compositore, che sono io. Il diritto d’autore è sacrosanto.
Parallelamente si è interrotta anche la produzione su Vibraphone o sbaglio?
Sì, Vibraphone poi è rimasta seguita da Curti e Ruvolo per un po’. Io e Mauro davano il nostro supporto anche se eravamo più concentrati sul progetto Synthetic.
Come avete deciso di ristampare i capolavori realizzati sotto gli alias “Minimal Vision”, “The True Undeground Sound of Rome” e “The Bermuda Triangle”?
La prima uscita firmata The The True Undergound Sound of Rome, “The Bermuda Triangle (1992-2015)”, abbiamo deciso di ristamparla io e Marco Salvatori. Dopodiché inizia una vicenda spinosa: sette anni fa Curti contattò me e Mauro Ruvolo per ristampare i vecchi dischi di The True Undergound Sound of Rome insieme agli prodotti sotto i nostri pseudonimi dell’epoca. Dopo il primo contatto, lo stesso Curti ci ha letteralmente sottratto l’etichetta associandosi a Juno, senza informarci della sua decisione ma addirittura cambiando gli account e le password.
Vibraphone sotto la gestione Curti iniziò a stampare musica di artisti che, seppur validi, con noi, con il nostro suono e la nostra storia, non hanno nulla a che vedere, mancando di rispetto a tutti noi, al nostro lavoro e a Mauro Tannino che non c’è più. Per fortuna, dopo una lunghissima serie di diffide e battaglie legali, sono riuscito a rientrare in possesso dell’etichetta insieme a Ruvolo.
Nel periodo in cui Vibraphone smette di pubblicare e tu smetti di esibirti come dj, quali sono i progetti su cui hai lavorato in studio?
Dopo la scomparsa di Mauro, Bortolotti, manager di Media Records, mi ha cercato per iniziare una collaborazione che mi ha portato a Brescia dandomi la possibilità continuare a lavorare in studio componendo le produzioni che uscivano sulla label. Inoltre ho collaborato in modo continuativo anche con Victor Simonelli e Kenny Carpenter, storico dj dello Studio ’94. Victor è uno dei primi dj di Brooklyn che ha chiuso un importante contratto con la Sony negli anni ’90 e insieme a lui abbiamo composto remix importanti, come ad esempio un remix con Giorgio Moroder uscito nel 2000 su Stellar Records e produzioni per Madonna e Yoko Ono.
Mentre adesso che progetti stai curando personalmente?
Beh, moltissimi. Dalle nuove uscite in programma su Vibraphone a una raccolta di materiale vecchio e nuovo per Synthetic. Inoltre, ci sono molti ragazzi che fanno Trap che vengono da me per produrre le basi.
Cosa pensi del ritorno delle sonorità come le vostre e della musica electro nell’attuale scena underground europea?
Beh sono i suoni più caldi, più belli, quelli che sono fatti col cuore. Quando sei artista si sente e riconosci le produzioni fatte da veri artisti. Oltre a noi, anche lavori come i primi Plus 8, la R&S Records e tutte le etichette che sono nate in quegli anni e che proponevano un suono autentico, fatto da artisti veri è logico che rimangano e che riemergano.
Cosa pensi dell’attuale scena elettronica italiana?
Ti dico, un buon 70% degli artisti che vedo in giro non mi piacciono, fanno molta confusione, sono ripetitivi e noiosi. Secondo me non sono autentici e difficilmente li definirei artisti. Molti si atteggiano ma poi se guardi alla sostanza sotto non c’è nulla.
Per me se uno è bravo deve dimostrarlo producendo. Il 30% invece, che racchiude i nomi storici della scena, continuano ad essere al top anche dopo tutti questi anni. Personalità come Lory D, Leo Anibaldi, Max Durante, Franco Moiraghi, Bismark, Luca Cucchetti, Vortex, Walter One che purtroppo è venuto a mancare da poco. Questi sono i nomi per quanto riguarda la scena romana. Nel nord Italia secondo me Gemolotto e Leo Mas non hanno rivali. Anche Francesco Zappalà rimane un grandissimo Dj. Poi della scena attuale, mi piacciono Freddy K e Luciano Lamanna, con cui ho collaborato componendo le produzioni di Noyz Narcos e TruceKlan su Traffik Records.
E dei party che mi dici?
Guarda, Roma è sempre stata forte e ti direi che dopo di noi mi è piaciuto il lavoro di Emanuele Inglese con il progetto Diabolika mentre ora come club credo che ci sia solo Spazio ‘900, nonostante abbiano chiuso una delle migliori situazioni italiane che era l’ex Dogana: per quanto riguarda la techno, l’Ex Dogana non aveva rivali.
Non mi piacciono i grandi party di oggi perché, dalla fine degli anni ’90, club e promoter hanno iniziato a importare molti dj (non artisti però, dj) dall’estero, togliendo progressivamente spazio agli artisti veri, italiani.
C’è qualche etichetta o realtà che ci segnaleresti come musicalmente interessante?
Sì, mi piace molto il collettivo Foundation Records di Berlino che propone un suono tipo il mio degli anni ’90. Modex e Matthias sono veramente bravi e con loro ho stampato un ep l’anno scorso.
Cosa consiglieresti ai giovani che si avvicinano al mondo della musica elettronica?
Spesso sono proprio i giovani stessi a pormi questa domanda. Io rispondo a tutti allo stesso modo: “Fate i dischi, è l’unico modo per essere davvero riconosciuti per il proprio valore e per le proprie capacità. Rimanete umili e fate i dischi”.