Da venerdì 29 giugno a domenica 01 luglio, immerso nei meravigliosi e suggestivi giardini riqualificati di Villa Arconati a Bollate, ha preso vita il Festival Terraforma 2018; manifestazione che da anni permette a Milano di avvicinarsi sempre di più a quei paesi che espandono il concetto di sperimentazione e esperienza musicale ecosostenibile.
I numeri parlano chiaro, Terraforma 2018 anche ques’anno si conferma una delle realtà più importanti del panorama internazionale. A confermarlo senza ombra di dubbio è il costante aumento di pubblico; da qualche migliaia nelle prime edizioni è passato ai sei mila circa dell’anno scorso, per arrivare alle otto mila presenze circa registrate per l’edizione di quest’anno. Insomma chi ama la musica sperimentale e di qualità, non può non aver mai sentito parlare del festival ecosostenibile milanese, ormai diventato punto di riferimento per tutti gli appassionati di musica elettronica e che giunge alla sua quinta edizioni consecutiva.
Il festival nasce nel 2012 dall’associazione culturale no profit THREES (Dario Nepoti, Ruggero Pietromarchi e Alberto Brenta), con la nobile ambizione di far convivere in simbiosi l’arte, con la natura della location che ospita l’evento. Dalla prima edizione del 2014 Terraforma infatti abbraccia fortemente il concetto di sostenibilità ambientale, grazie al quale in collaborazione con Fondazione Augusto Rancilio, ha permesso la graduale opera di rigenerazione e riqualificazione degli spazi del parco della Villa Arconati, location in cui viene svolto il Festival ogni anno.
Attesissimo, anche questa volta Terraforma si presenta come un insieme poliedrico di forme d’arte in continua trasmutazione, facendolo assomigliare sempre di più ad un enorme rito collettivo condiviso; un ritrovo di persone (moltissime anche quest’anno le presenze straniere) che oltre ad essere legate dalla passione per la musica elettronica sperimentale e la collettività, decidono di unirsi per rendere omaggio ad una delle protagoniste indiscusse del festival: la natura e tutto ciò che essa comprende.
Arriviamo a Bollate (una cittadina a una decina di km a nord di Milano) venerdì sera, e appena entriamo nel vialone che porta verso villa Arconati, il tramonto e l’immagine della facciata settecentesca della imponente villa ci lasciano senza respiro, attoniti e piacevolmente sbalorditi. Proviamo quella strana sensazione onirica che si materializza dopo aver appreso la consapevolezza di aver appena iniziato un lungo e rilassante sogno lucido. Ci fermiamo per qualche istante meditativo davanti all’ingresso, mentre il parcheggio lentamente inizia a riempirsi di autovetture, che aumentando di numero, diventano sempre più piccole nell’enorme e comodo parcheggio gratuito attaccato all’ingresso principale.
Come tante formiche il richiamo di Terraforma 2018 lo si percepisce dalle targhe straniere presenti, un richiamo che attraversa città, supera confini territoriali, appartenenze politiche, sociali e di razza; unendo tutti all’interno di un sistema in perfetto equilibrio tra musica e natura.
Superato l’ingresso senza nessuna seccante fila, all’interno della villa le luci ci guidano verso gli sperduti spazi del parco, mentre la musica Ambient di Imaginary Softwoods, (John Elliott degli Emeralds e fondatore della Spectrum Spools), ha già invaso il parco e riecheggia in lontananza senza lasciare più nessun dubbio: Terraforma anche questa volta sembra abbia deciso di imporsi prepotentemente come una delle realtà musicali più importanti d’Europa.
Percorriamo il viale principale segnato dalle luci calde che si affievoliscono e diventano cerchi luminosi colorati nel sentiero che porta al palco principale, alle aree ristoro, ai workshop e ad un secondo dance floor, il sound system. Mentre camminiamo veniamo subito attratti dall’installazione sferica metallica sulla nostra sinistra, è l’opera realizzata in collaborazione con Buka: un planetario attivo dalle 20 fino alle 4 del mattino all’interno del quale vengono fatte sentire le sonorità ipnotiche di Caterina Barbieri per tutti i tre giorni del festival, ma purtroppo con una capienza massima di solo poche persone.
Proseguendo lungo il sentiero ci imbattiamo nel famoso labirinto concentrico, all’interno del quale per la serata di apertura suona un’enorme congegno alto quasi tre metri. E’ la spettacolare interazione uomo-macchina di Plaid & Felix’s Machines. Un sistema in grado di unire amplificazione naturale ed elaborazione audio sincronizzata con percorsi magnetici di luce e movimento; una macchina che sembra arrivare da un’altra galassia, un mandala meccanico che emana musica IDM e incanta il pubblico che si è radunato tutto intorno per più di un’ora.
Ma è arrivando nell’area food che ci si rende subito conto che gli spazi, oltre che essere comodi e vicini, sono tutti concepiti e strutturati secondo il principio base su cui si basa la manifestazione: l’ecosostenibilità e il rispetto per l’ambiente che ci ospita. Tutto è realizzato categoricamente in legno, dalle sdraio che richiamano origami giapponesi, alle strutture degli street food, fino ad arrivare all’imponente struttura triangolare della main room principale, che per questa quinta edizione è stata realizzata più grande e con un’architettonica visivamente d’impatto.
Main room che apre con l’esibizioni del magistrale Lorenzo Senni che sostituisce Lanark Artefax a causa della perdita del passaporto. Lorenzo arriva con il suo inseparabile bomber ed esegue il suo set rielaborando e decostruendo loop in pieno stile Senni. Esibizione che anticipa quella della producer Melika Ngombe Kolongo alias Nkisi, che sforna un set ai limite della Gabber e dell’Hard Core, con cambi di traiettoria che raggiungono una frenetica Tribal, il tutto eseguito nel sound system. Due set i loro che forse si discostano un po’ dallo stile più meditativo che l’evento dovrebbe trasmettere, sia per la velocità delle tracce suonate che per la scelta di quelle proposte. Ma ad un italiano uscito su Warp e alla co-fondatrice del collettivo “NON” tutto (o quasi) può essere concesso. Anche perché i loro set servono da apripista per introdurre al pubblico il nome più importante dell’evento. Per partecipare a questo individuale viaggio nell’ignoto tra natura e musica, Terraforma ha chiamato uno dei massimi esploratori della vita al di fuori del nostro pianeta: Jeff Mills. Artista che nelle ultime sue produzioni si avvicina molto al tema di questa edizione. La sua passione per il cosmo e lo spazio profondo lo accompagnano infatti da anni.
Il suo set inizia intorno all’una e mezza e per circa tre ore accompagna i presenti all’interno del suo mondo, abitato da anni di esperienza, sperimentazioni di ogni tipo e viaggi musicali extra terreni, incoronandolo anno dopo anno e meritatamente, come uno dei migliori Dj del pianeta. Jeff Mills è un alieno, per noi non c’è altro da aggiungere.
Il sabato inizia presto e a svegliare i campeggiatori arrivati da tutto il mondo sono le vibrazioni di Marco Shuttle, (ascolta QUI il suo set del 2015), che dirigono il pubblico verso l’introspezione profonda tramite atmosfere Chill e scanalature psichedeliche. Ma la giornata è ancora lunga e all’interno del parco si aprono zone in cui è possibile fare yoga insieme a Lavinia Cometti, insegnante di vinyasa, ashtanga e fondatrice di NadYoga. Mentre sotto gli spazi più ombreggiati è possibile osservare questa moltitudine di persone multietniche fare meditazione, pregare, mangiare e riposare. Meraviglioso!
Ma il caldo e il tempo lasciano poco spazio a quello appena descritto, e il primo pomeriggio tocca a Valentino Mora riportare tutti sul pianeta musicale Terraforma. Con il suo set sperimentale in perfetta sintonia con quello che ci si aspetta ad un festival come questo subito dopo pranzo; e dal nostro punto di vista inoltre, uno dei set migliori della manifestazione. Nemmeno il tempo di riprenderci dal suo viaggio musicale lisergico e ci spostiamo tutti nel sound system per ascoltare il live alieno di un serissimo Donato Dozzy. Tutto in analogico, più di qualcuno forse avrebbe preferito ascoltarlo nella console principale, dove l’impianto avrebbe probabilmente reso più incisiva la sua performance, che comunque non delude le aspettative e fa muovere tutti sotto i trenta gradi del parco. Come Mohammad Reza Mortazavi: percussionista iraniano considerato uno dei più veloci del mondo, che anche lui con i suoi ritmi tribali incanta tutti e ci trasporta in territori lontani, spirituali e mistici.
Il passaggio del testimone tocca poi a Byetone: musicista, grafico e co-fondatore della raster-noton assieme a Carsten Nicolai (Alva Noto) e Frank Bretschneider, che con le sue sonorità concettuali tra IDM e Dub, è a Terraforma per presentare il suo nuovo live audiovisivo Universal Music. Il suo set profondo e buio attraversa un ventennio di produzioni, partendo da bassi che spostano gli alberi per poi riaffacciarsi a sonorità che lo hanno seguito nel corso del suo lungo percorso artistico. Trascinatore ha saputo coinvolgere tutti con un set che ci ha convinto e fatto dimenticare il caldo per qualche ora.
Ospite per la chiusura del secondo giorno di festival è l’artista giapponese Powder, dietro la quale si cela Moko Shibata, artista che dalle campagne solitarie del Giappone ha iniziato a produrre musica trasformando in sublimi elaborazione da club, i suoni prodotti grazie al suo pc ed a un sintetizzatore vinto ad un contest di track making anni fa. Evento che gli ha permesso di diventare l’artista che è oggi e che si proietta verso il futuro prossimo come una delle promesse della scena sperimentale odierna.
Domenica la stanchezza dei presenti inizia a farsi sentire, il caldo e il sole arriva sulle tende del camping (1500 persone) fin dalle prime ore, ma la giornata vedrà salire in cattedra artisti di rilievo come Rabih Beaini, producer e Dj di origini libanesi ma con base a Berlino; la sua musica elettronica è un viaggio attraverso le avanguardie Jazz, con sfumature Folk, elettronica Ambient e improvvisazioni estreme.
Paquita Gordon, nata a Milano e artista presente anche nelle scorse edizioni di Terraforma, dove con il suo live tra sperimentazioni di ogni tipo e qualche chicca da vera fuoriclasse (ascolta qui il suo set a Radio Raheem registrato prima di Terraforma) risulta un’artista che negli ultimi tempi si sta affermando sempre di più nel panorama internazionale.
Vladimir Ivkovic, di Belgrado, uno degli artisti più attesi e particolari di questa edizione. Considerato un ricercatore musicale fuori da ogni schema e senza tempo, fondatore della Offen Music, il suo set per l’occasione è Acid House pura, sonorità che si allontana dal suo stile e forse troppo (passatemi il termine) pesante da digerire per il terzo giorno di Terraforma. La scelta è stata ardua, considerando che i suoi set risiedono in territori talmente ricercati e particolari che è davvero quasi impossibile catalogarne lo stile: Post/Avant Punk?, New-World? Psichedelic-Downtempo?!
L’etnomusicologo esperto Florian Meyer, in arte Don’t DJ, artista in grado di separare la barriera veglio/onirica e allontanare l’ascoltatore oltre i limiti percettivi grazie al set ipnotico di musica proveniente dagli angoli più remoti del pianeta, inanellando Concrete Music con esasperazioni Tribal. La sua musica acefala, (musique acéphale), come la definisce lui stesso, non ha dei confini definiti e lascia tutti in un limbo disorientante.
A mandare tutti a casa e chiudere il sipario su questi tre giorni di musica ci pensa infine Plo Man. Artista canadese con sede a Berlino, capace di ipnotizzare tutti i superstiti con tracce House stupende, Jungle e Ambient; offrendo agli ascoltatori uno stato di rassicurazione mentale prima di tornare tutti a casa. Nella consapevolezza di aver vissuto come dicevamo all’inizio, un lungo e multiforme sogno lucido.
Che dire, anche quest’anno Terraforma va ad arricchire una Città che negli ultimi anni è cresciuta notevolmente sotto il punto di vista musicale, grazie anche ad altri eccezionali eventi saturi di presenze artistiche di grande importanza per quanto riguarda la sperimentazione e l’avanguardia.
Oltre ai nomi fra i più ricercati della scena elettronica sperimentale, l’evento dimostra ancora una volta come anche nel nostro paese sia possibile fare interagire ecosostenibilità e divertimento, musica elettronica e spazi adibiti alle famiglie. Forse un pò troppo pochi quelli dedicati ai bambini presenti, nella speranza che l’organizzazione possa per le edizioni future, pensare un po’ di più a quelli come me che sabato hanno portato il proprio figlio. Come sia possibile evitare del tutto (o quasi) le infinite file ai work shoop e alle casse delle aree food presenti grazie ai braccialetti ricaricabili e infine, di come Terraforma, proiettata nel prossimo futuro, stia percorrendo la strada giusta per diventare una delle realtà musicali più importanti a livello mondiale.
“La quinta edizione di Terraforma ha rappresentato il raggiungimento di una maturità senza precedenti, consacrandolo come unicum in Europa. Un contesto che ha saputo stimolare gli artisti invitati nello sperimentare il meglio durante le loro performance. Ciononostante, Terraforma va ben oltre la proposta musicale, proponendosi come summa di un pubblico interessato ed interessante, un’organizzazione di alto livello, strutture architettoniche eccezionali e un’atmosfera epica. Terraforma si propone oggi come il manifesto di una generazione, che attraverso la dedizione verso la propria passione musicale riesce a costruire un progetto che parla di cultura e sostenibilità ambientale”.
Ruggero Pietromarchi (fondatore e direttore artistico).
e ancora::
“la musica e il suo ascolto riportano l’uomo alle sue frequenze naturali dove il senso del ritmo è di nuovo legato all’ambiente”.
Ambiente che è stato rispettato in tutte le sue molteplicità e che in questi giorni torna senza nessun segno al suo normale percorso vitale.
Guarda QUI alcune immagini di Terraforma 2018 visto dagli occhi dei suoi partecipanti:
https://www.instagram.com/p/BkxjGM4H9E_/?hl=it&tagged=terraforma
L’immagine di Terraforma 2018 progettata da 2015.vision è stata creata dalle mani di Emanuele Marcuccio, artista laureato in Arti Visive presso l’Ecole Cantonal D’Art di Losanna e la Mountain School of Arts di Los Angeles, le cui opere sono state esposte in tutto il mondo.