fbpx

Countersubject, studio creativo milanese, è riuscito a plasmare in maniera riconoscibile l’identità grafica e visiva di Terraforma Exo.

Terraforma Exo torna questo weekend in nuova formula. Il cambio di location e una line up focalizzata su meno artisti ma di estrema qualità (Robert Henke, Dj Nobu e Margarida Mendes giusto per citarne alcuni) , tutti rappresentati dell’ideologia artistica del festival, rappresentano alcune delle importanti novità che questa edizione vuole portare avanti. Il tema del festival si focalizza sul concetto di ecologia sonora, dando al suono e al suo modo di plasmare ciò che circonda un ruolo da protagonista all’interno della convention.

Per questo passaggio verso una dimensione più matura del festival è stato necessario un grande lavoro di re branding del festival. Una nuova identità grafica e visiva che potesse accogliere questo passaggio e trasfigurarlo in una nuova dimensione estetica espressiva, che sposasse la complessità dei temi di una convention che naviga ben oltre le sponde delle performance musicali, ma ci invita a riflettere su una socialità consapevole in cui l’esperienza sonora va vissuta attraverso un’ analisi critica e una prospettiva più ampia.

Countersubject, studio fondato dai quattro creativi Pietro Amoruso, Giovanni Murolo Claudio Santoro e Federico Sargentone, da sempre affianco al progetto Terraforma ha riplasmato la nuova identità per Exo raffrontandosi con nuove domande e raccontando l’evoluzione del festival verso un nuovo concept, in cui ogni scelta è sapientemente ponderata ed espressiva di un punto di vista d’osservazione analitico e critico. Abbiamo parlato con loro di questa transizione e del ruolo che l’identità visiva svolge nel descrivere e diffondere nuove consapevolezze. Buona lettura!

Ciao Ragazzi, benvenuti su Parkett. Per iniziare questa chiacchierata mi piacerebbe chiedervi di raccontare un pochino la vostra storia. Come nasce il vostro studio e da quali background singoli venite? Come vi siete avvicinati al mondo della direzione artistica creativa?

Pietro: Abbiamo cominciato questo lavoro proprio come Countersubject. Il nome è nato intorno a giugno, luglio dell’anno scorso. Abbiamo semplicemente unito le sinergie di quelle che erano diciamo le nostre sinergie come persone che già lavoravano insieme in maniera coesa. Prima di quest’esperienza avevamo lavorato magari in coppia o singolarmente su alcuni progetti.

Io e Giovanni ci conosciamo da tempo grazie all’università, mentre Giovanni e Federico lavoravano insieme per una rivista di cultura e lifestyle che si chiama Kaleidoscope Magazine. In un momento successivo, quando entrambi si sono staccati da questa loro esperienza, io e Federico abbiamo preso uno spazio da condividere insieme per poi espanderci in un secondo momento. Claudio è sempre stato un nostro amico che ha sempre orbitato intorno alle cose di cui ci occupavamo.

Federico: Un giorno ci siamo detti: “Ma perchè non facciamo qualcosa insieme? Così è nato Countersubject. Abbiamo delle esperienze in comune ma veniamo comunque da dei background diversi. Nonostante questo, siamo abbastanza allineati su quello che ci piace a livello culturale ed artistico, ed io e Giovanni siamo accomunati anche da quel lavoro nella grafica.

Abbiamo studiato editoria e ci siamo specializzati in publishing, grafica e scrittura ed abbiamo deciso di unire le forze fondando questo studio. In realtà non ci vogliamo chiamare nè agenzia nè studio, però siamo più vicini ad un’idea di studio. Direi studio perchè studiare è alla base di ciò che facciamo.

Questa nuova avventura che inizia con voi e con la nascita di Terraforma, EXO rappresenta in un certo senso una nuova forma di Terraforma, una rinascita. Cosa è cambiato in questa transizione? Intendo sia come concetto creativo, ancora prima di approcciarvi lavorativamente e quindi di plasmare questa identità nuova. In che cosa volevate manifestare un cambiamento e in che modo avete colto il cambiamento di Terraforma?

Pietro: In parte il cambiamento di Terraforma è già un po’ assorbito. Ci siamo plasmati insieme ad esso perché il progetto è nato da zero insieme a Ruggero e gli altri che comunque sono stati i nostri collaboratori anche in passato. Lo scorso anno avevamo seguito il progetto in maniera un po’ meno presente mentre questa volta è stato immaginato il festival proprio da zero, quindi abbiamo dovuto lavorare con la parte visibile ridiscutendo tutta l’identità.

Ne abbiamo discusso anche da prima che si producessero dei visual veri e propri, e abbiamo scelto questo nome. Terraforma è stato un po’ un progetto che ci ha visto interagire dall’inizio, quindi siamo molto contenti di aver fatto uno step in più nel passaggio ad Exo e non limitarci soltanto ad un lavoro grafico ed è stato il motivo per cui siamo interessati ancora di più a questo progetto.

Il festival è un po’ cambiato e ha cambiato anche a noi. Oggi è un progetto più a 360 gradi. L’identità ovviamente si traduce poi nella parte visiva, in ciò che si vedrà e si vede in giro, ma dietro c’è stato un approccio più continuativo con Ruggero Pietromarchi, direttore creativo del festival. Ci siamo chiesti dove volessimo andare e cosa volessimo spingere sia a livello di linguaggio, sia a livello di estetica che come contenuto. Da questi ragionamenti è nato il manifesto del festival ed il titolo, dunque si è un processo che ci ha gratificato tanto.

Federico: Mi fai effettivamente pensare a una cosa fondamentale nel nostro lavoro. Noi, come studio, cerchiamo di portare avanti diverse competenze ed il nostro scopo è quello di gestire progetti complessi principalmente legati al branding ma che, partecipando attivamente al processo di genesi, si espandino anche verso una direzione editoriale fino ad arrivare all’ultimo step: quello del design e di tutti gli output visivi che poi ne possono derivare. Però sì, il nostro goal è questo. Terraforma è uno dei primi progetti che ha visto tutto il team attivo dall’inizio alla fine. D’altro canto non è ancora finito.

Un cambiamento importante che incide inevitabilmente anche nell’identità del festival è sicuramente il cambio di location che passa comunque da Villa Arconati, location un po’ più periferica, a quella di Parco Sempione che rappresenta un po’ il cuore pulsante di Milano e che sicuramente propone anche nuove sfide proprio da un punto di vista di quella che può essere la riflessione sociale e urbana sulla città stessa di Milano. Come vi siete posti rispetto a questo tema e quanto per voi ad esempio costruire degli scenari su dei luoghi che hanno una forza ed una loro identità storica e di conseguenza una certa forza artistica (come ad esempio il Giardino della Triennale e lo stesso Parco Sempione) ha influito sul vostro lavoro?

Giovanni: Sì, sicuramente ci siamo confrontati su questa cosa. L’iniziativa si è chiamata Terraforma EXO ed è stato aggiunto questo suffisso perchè il trick era quello di aggiungere a un nome già esistente che era appunto Terraforma questo suffisso che lo eh espandesse no? Da un punto di vista quasi grammaticale. EXO nello specifico, questa particella che abbiamo aggiunto a modificare il significato, vuole segnare un cambiamento ma è cambiata proprio anche la sfera culturale con cui si va a misurare Terraforma.

Un segno che chiude con il passato rappresentato da Villa Arconati e l’ingresso in una nuova dimensione. Questo nuovo nome ha mutato il nostro approccio iniziale e in questa nuova esperienza abbiamo tenuto in considerazione il fatto che stessimo passando da qualcosa che era un po’ più legato alla dimensione del festival a un evento decisamente con un valore più istituzionale.

EXO ha anche una doppia connotazione: aveva stile di legione sull’external, ma anche sull’interno, ma un significato come exoscheletro. EXO sta anche per exoscheletro e viene riportato in tutta la comunicazione, questo exoscheletro fondante di quello che era il festival prima e che guarda a ciò che è diventato. Questo indica una sorta di metamorfosi, di evoluzione se vogliamo, che va a sottolineare che il festival è diventato qualcosa di più appunto istituzionale, essenziale.

Tornando al Manifesto che sposa come concetto principale questo concept di ecologia del sound, come lo spieghereste? Come lo intendete il filo conduttore di tutto il branding del festival?

Federico: Noi abbiamo interpretato il concetto di ecologia sonora come un qualcosa di molto riconducibile a tutto l’operato di Terraforma da sempre e di Threes Production. Con il termine ecologia sonora si intendono pratiche che portano insieme varie letture del suono, non inteso soltanto come musica. Ciò sta alla base del concetto di ecologia sonora che si fonda sul fatto che c’è una differenza tra un pad cioè un sound e la musica. Una differenza presente in un’iniziativa, diciamo in questo caso, che abbia tutti questi livelli, quindi per ecologia si sottointende un sistema in cui coesistono vari formati ed in cui si va a creare un ecosistema sonoro. In Exo ci saranno delle passeggiate sonore che sono un prodotto sonoro si ma che sono amalgamate con la performance, quindi un’esperienza con una durata.

Ci saranno delle sound installation che sono dei prodotti di suono ma che non sono musica, ci saranno dei live show che sono prodotti sonori che al contrario sono musica. Quindi per ecologia sonora si intende andare a mappare lo stato della sound based practice in generale.

Come l’abbiamo interpretato noi? Di base stando a dei canoni estetici che più o meno aderissero al concetto astratto di scienza che si lega inevitabilmente a quello di ecologia e, a livello più generale, a un’idea di geografia, Ci siamo dovuti interrogare su quali fossero i livelli estetici, etici e appunto sonori, anche se su quest’ultimo punto si focalizza la programmazione artistica del festival.

Siamo giunti a delle conclusioni estetiche e ci siamo trovati inevitabilmente allineati al concetto di ecologia sonora intendedola come una pratica quasi scientifica, da tradurre anche esteticamente in quella maniera. Tutta l’identità grafica gioca su questi codici, riprendendo quasi dei libri di scienza o di informazioni scientifiche e basandosi su una sorta di gerarchia matematica. Graficamente c’è l’uso del testo accompagnato da altre informazioni in apice, quindi ci siamo collegati a una sorta di sistema visivo che riflette un programma di musica e di ecologia sonora, traslandolo sulla dimensione creativo estetica.

A tal proposito, questi valori, che sono quelli fondanti che avete anche riportato e traslato sull’approccio grafico, dovrebbero essere anche quelli che accomunano non soltanto diciamo la vostra identità ma anche la comunità che poi frequenta il festival e che ci si riconosce. Per voi il manifesto deve avere un ruolo in qualche modo formativo e questa serie di concetti espressi possono essere un’idea da cui partire per fidelizzare una comunità e renderla più consapevole sui temi che portate avanti? Era questo anche uno dei vostri obiettivi?

Pietro: Questo sicuramente era uno degli obiettivi. L’idea della formazione, dello studio, del creare collettività intorno a questo evento e di portare avanti una certa sensibilizzazione, anche artistica, rispetto a queste tematiche c’era ed è sicuramente una cosa che è nata insieme al festival. Ci siamo confrontati sugli artisti che potevano rappresentare un riferimento per creare una una situazione del genere. Fidelizzare si lega pure a quello che tu menzionavi prima: quando Terraforma ha abbandonato il modello festival ed è diventata quasi una due giorni di performance ovviamente si porta una community di fan di vecchia data che poi sono ancora strettamente legati al clubbing no?

Anche noi come tutti, quindi portare questa dimensione in Triennale, si porta tutto un nuovo set di challenge. Stiamo facendo un evento in un luogo istituzionale, un museo quindi ovviamente un cambio di pubblico. C’è sicuramente una community da fidelizzare che magari vedrà persone nuove rispetto a quelle che abbiamo visto negli anni a Villa Arconati. Quindi ovviamente tutta l’identità, tutto il tone of voice, tutto quanto doveva riflettere una seconda fase per Terraforma. Però sì, c’è sicuramente una community da fidelizzare diversa rispetto a quella a cui siamo stati abituati.

Giovanni: Certo, c’è un’espansione anche sul centro di Milano e su nuovi tipi di pubblico che possono avvicinarsi al festival anche semplicemente perché è in uno spazio sicuramente a parte più centrale ma comunque anche più accessibile. Si può essere spinti ad andare al festival per motivazioni diverse, non so se condividiate, però può essere sicuramente in un certo senso espansivo come nuovo termine sia a livello di luogo ma sia anche proprio a livello di scelte. Sicuramente si ha una nuova fetta di pubblico, secondo me sarà un ibrido tra quello che c’era prima e quello che c’è adesso. Alla fine anche per loro è un esperimento che hanno fortemente voluto.

Per esempio con Ruggero abbiamo sempre parlato di questo elemento dell’attenzione, non della calma, però dell’attenzione, di essere più slow nel consumare degli atti musicali. Un’attenzione maggiore alla performance, un approccio più museale, anche se odio questo termine, però una fruizione più lenta. L’identity è stata fatta pure in quest’ottica, nel senso non abbiamo cercato di fare un’identity che potesse essere trendy, ma ci siamo rivolti con uno sguardo un po’ nerd che potesse pensare ad un’accessibilità ad una scala più ampia.

Una cosa che possa generare interesse anche in uomo di sessant’anni. Una nuova era in cui l’identità è stata modellata esattamente con la stessa attenzione in testa e non tanto andare a cercare, ad esempio, i poster flashy in arancione. Siamo stati a livello grafico visivo abbastanza lontani da quello che era l’approccio party.

Personalmente non mi ha dato l’idea di trendy ma mi ha dato subito l’impressione di qualcosa di pienamente concepito proprio con quello che poteva essere lo spirito di Terraforma. Il festival si lega anche a dei brand a delle collaborazioni. Come siete riusciti a lavorare con i brand e comunque ad imporre la vostra identità lavorando in connubio? In che modo è avvenuto questo processo?

Federico: Il loro rapporto con i brand c’è sempre stato, la collaborazione con Carhartt, quella con Keyway che abbiamo fatto quest’anno. Noi abbiamo trattato più che altro la partedella veste grafica, per esempio Keyway ha chiesto di fare una t shirt ma la collaborazione è stata abbastanza limitata con le nostre figure

Molti artisti portano anche delle loro installazioni comunque che sono concepite, mi viene in mente quella di Caterina Barbieri, in continuità col festival oppure queste installazioni sono indipendenti?

Pietro: Non abbiamo commissionato noi le istallazioni di artisti, quindi questa è una cosa di direzione proprio artistica del festival a livello di contenuti della quale si occupa Ruggero e Terraforma, però posso dirti che ha commissionato tutti gli interventi quasi site specific. Terraforma ha avuto sempre un dialogo con gli artisti per commissionare opere esattamente per il contesto in cui poi verranno fruite.

Tutto questo processo che vi ha portato a concepire questo festival ha fatto riferimento a dei modelli di ispirazione che avete ricercato? Ci sono delle identità visive alla quale secondo voi Terraforma si sta avvicinando oppure pensate che in qualche modo il progetto Terraforma a livello artistico grafico sia totalmente indipendente anche da ciò che succede in altri contesti europei?

Pietro: Fare qualcosa che sia indipendente da altri contesti è impossibile oggi, però devo ammettere che noi abbiamo guardato solamente istituzioni artistiche, facendo riferimento più che altro a cose che noi ci portiamo dietro come persone ed è già un bagaglio nostro che si rifà a determinate determinate cose. Sicuramente abbiamo attinto a questo e lo abbiamo unito a quell’approccio in ambito medico scientifico, se vogliamo matematico.

Dal punto di vista istituzionale del Comune di Milano avete trovato comunque un appoggio, una disponibilità forte? Avete visto che proprio anche le istituzioni erano pronte a un evento del genere?

Giovanni: Come Countersubject, al di fuori da Terraforma abbiamo fatto recentemente la campagna della Design Week tutta la città è comunque commissionata dal comune di Milano, quindi noi lavoriamo spesso con le istituzioni. Però si, c’è stata una poster campaign su tutta Milano che è fatta col patricinio del Comune, quindi sì, di base credo che siano dei supporter del Festival, ma non è nostra competenza.

La comunicazione digital e social ha un’importanza fondamentale, soprattutto per un festival come Terraforma che attira comunque un gran numero di persone dall’estero, ma si sta ultimamente, con alcuni progetti anche su Milano stesso rivalutando quello che può essere la comunicazione fisica, anche del supporto fisico. Per voi questo lavoro qua è importante e cosa ne pensate?

Giovanni: No, non siamo anti-digital, per carità, però devo ammettere che non siamo digital first. Non penso che questa cosa abbia un futuro per come abbiamo impostato il nostro lavoro. Poi se fossimo un’agenzia che fa video ovviamente sarebbe diverso. Certo, penserei il contrario, però noi ci misuriamo cioè, io personalmente Giovanni vengo dai magazine, mi focalizzo prima su una foto che su un video.

Perché poi il digitale segue. Il digitale nel nostro caso segue sempre anche per una necessità comunicativa perchè la diffusione è più ampia, però come approccio nostro progettuale noi ci confrontiamo e siamo ostinati nel senso ci rendiamo benissimo conto che un approccio fisico fa parte di noi. Questo progetto qua per esempio l’abbiamo immaginato molto più fisico nel senso abbiamo detto investiamo in una campaign u di poster in giro perché poi il festival sarà in giro, sarà un festival che si basa sul territorio quindi per un festival cittadino questo tipo di comunicazione poteva funzionare.

Ok, un’ultimissima domanda, vorrei chiedervi quali sono gli obiettivi su un futuro prossimo per la vostra agenzia studio e quali invece per il futuro con Terraforma.

Pietro: I nostri obiettivi come agenzia in futuro sicuramente sono quelli di lavorare sempre di più a progetti di questo tipo,progetti in cui possiamo investire tutte le nostre competenze, cercare di lavorare sempre insieme con tutte le nostre skills poi non ci focalizziamo necessariamente sul fare anche soltanto questo tipo di progetti, nel senso che a noi piace proprio anche spaziare, ci piace la challenge in generale e quindi vorremmo confrontarci, lo facciamo già e quindi il progetto per l’istituzione, il progetto di collaborazione con un brand per una campagna di ADV, il progetto per la fanzine, l’editoria indipendente, la cover.

Mentre con Terraforma Exo ci aspettiamo di continuare a collaborare anche perché è bello quando si abbina un progetto e i risultati arrivano. Si vedono all’inizio però col passare del tempo di solito si perfeziona sempre di più quello che è insomma la collaborazione quindi ci aspettiamo che questo rapporto possa continuare.