The Blaze, duo francese composto dai cugini Guillaume e Jonathan Alric, sarà tra i protagonisti della kermesse romana Videocittà, dal 12 al 16 luglio al Gazometro di Roma. La nostra intervista, tra le riflessioni sull’ultima fatica discografica “Jungle”, il rapporto con il cinema e la costante sperimentazione nella rappresentazione delle emozioni.
The Blaze è un nome che oggi decodifica in maniera perfetta l’interazione tra le arti. Nella loro proposta sonora l’elaborazione musicale nasce di pari passo a quella visiva. I video di “Virile” e “Territory” sono arrivati alla pancia dei milioni di utenti Youtube, dando vita a due figure artistiche che hanno saputo presentarsi prima con la loro visione estetica che con la loro immagine. I live al Coachella e A Les Plages Eletroniques di qualche anno fa, mostrano quella voglia di sfuggire al protagonismo artistico maniacale che contraddistingue la scena elettronica negli ultimi anni, per lasciare spazio alla loro visione. Alla musica.
Il loro sound scolpisce strati emotivi contrastanti. “Jungle”, il loro ultimo lavoro discografico, è stata la sintesi perfetta del loro modo di concepire la realtà. Un album, che rispetto a “Dancehall” viaggia verso direzioni più luminose. Ritmi ballabili, synth aperti ma anche melodie sognanti. Il dancefloor diviene il teatro in cui ambientare nuove scene dell’universo immaginario dei The Blaze.
Dentro la cornice multidisciplinare di Videocittà si svolgerà l’unica data italiana (al momento) del duo di base a Parigi. Non potevamo farci sfuggire l’occasione di fare due chiacchiere con loro. Una piacevole conversazione che ci ha aperto nuove strade interpretative del mondo colorato e variegato tracciato dai The Blaze. Buona lettura!
Benvenuti The Blaze, è un piacere avervi come nostri ospiti. Vorrei iniziare quest’intervista chiedendovi come state e il bilancio di quest’ultimo anno per voi fino ad ora?
Guillaume: Stiamo bene, si. Siamo nell’area partenze perché stiamo girando molto per il tour. Stiamo viaggiando tanto quest’anno perchè il nuovo album “Jungle” ha visto la luce, quindi si, quest’anno è stato ricco di lavoro in studio, video, preparazione degli spettacoli e molte altre cose. Ciò è bellissimo e ora l’estate è alle porte.
“Jungle” arriva dopo il grande successo di “Dancehall”. Quando avete capito di essere pronti per un altro album? Questo disco è nato spontaneamente o avevate intenzione di realizzarlo?
Guillaume: L’album è nato molto spontaneamente. Abbiamo iniziato la composizione di questo album quattro o tre anni fa e avevamo una struttura e molte e molte idee. Sai, facciamo molte versioni diverse delle tracce e ci siamo ritrovati con circa 50 tracce e stralci di progetti incompiuti. Dopo di che abbiamo continuato ad elaborarle e ci siamo ritrovati con 10 o 15 tracce che sembravano funzionare, da completare. Abbiamo capito di avere un album completo nel momento in cui siamo detti “ok, abbiamo queste dieci tracce e abbiamo costruito un racconto”. Queste dieci tracce hanno portato ad un album anche perché ci siamo ritrovati con dieci pezzi che suonavano tutti con uno stile differente. Ogni traccia ha la sua particolarità, la sua storia.
In Jungle la società è rappresentata nella sua attuale totale complessità, racchiudendo e descrivendo a livello emozionale le dinamiche della quotidianità. Il disco rappresenta musicalmente questa varietà cercando di porsi al crocevia di molte delle vostre ispirazioni musicali. Quanto è difficile rappresentare la vostra percezione della realtà così strutturata in musica?
Guillaume: Mi è sembrato che il processo fosse una sorta di processo astratto in quanto in realtà deriva totalmente dalle emozioni. Quando facciamo musica usiamo solo le nostre emozioni. Aspettiamo naturalmente l’ispirazione, è strettamente collegata a come ci sentiamo nella realtà, dopo di che la traduciamo in musica. È impossibile dire “Ok, ora voglio mettere la mia realtà nel sound”. A volte succede, a volte no. E, concluso questo processo, abbiamo anche lavorato per tutta la parte video e in quest’ultimo troviamo il canale principale in cui collocare ed inserire la nostra visione della realtà.
Ad esempio quando abbiamo realizzato il video di “Dreamer” abbiamo parlato di immigrati e di questa rinascita in modo particolare, perché volevamo descrivere la vita di questo ragazzo africano nel suo toto, immigrato o meno non era la questione centrale. Volevamo parlare solo della vita in Africa, e forse il video aiuta a raccontare in maniera più esplicativa la realtà e come la sentiamo personalmente nella nostra musica.
Dreamer parte dal concetto di sogno. Oggi la società sposa spesso sogni collettivi, essere ricchi, condurre una vita agiata o avere uno stile di vita che ci viene presentato come un ideale mentre nel video il sogno assume per voi una dimensione di felicità quotidiana. Cos’è per te sognare e quanto è importante sognare nella musica? Cosa sognerebbe un musicista adesso?
Guillaume: È una bella domanda, ma è complesso rispondere. Non lo so, forse il sogno dei musicisti è solo fare musica e condividerla con il pubblico, perché spesso si fa la musica solo per se stessi. Credo che quando la condividi forse ti senti meno solo. Far conoscere il proprio mondo musicale e vedere le persone provare e vivere insieme a te le stesse emozioni, è una sorta di condivisone dell’amore e la definirei una sensazione epifanica. Non lo so, forse è questo il vero sogno.
Jonathan: C’è anche qualcosa che connette l’artista al tempo in cui vive quando fai dell’arte, della musica. Vuoi fare qualcosa che rimanga dopo di te e dopo la tua morte. Mi viene da pensare a Beethoven quando ha composto la nona Sinfonia, pensare che ha superato le barriere del tempo. Penso che questo sia il sogno di ogni musicista: fare della musica che sia importante come Beethoven o Romanoff o altri artisti. Personalmente quando facciamo musica non è per questo, ma per provare una sorta di purificazione. Non si tratta di premeditazione ma è come un bisogno.
Il video di Madly è uscito la scorsa settimana e lo avete descritto come una storia accompagnata da una colonna sonora. Qual è il messaggio dietro questo video?
Jonathan: Penso che sia la prima volta che non abbiamo un messaggio alla base della scrittura. Volevamo (ed è importante per noi) fare qualcosa di diverso rispetto a quello che abbiamo fatto nei precedenti video musicali, perché è fondamentale sperimentare e fare qualcos’altro. Penso che per questo video musicale abbiamo lavorato più come in una pellicola vera e propria, ed abbiamo voluto avere un approccio più cinematografico, basandoci sul nostro modo di concepire i video.
C’è anche una certa poesia attorno a questa storia. Racconta di un ragazzo che si toglie di dosso la polvere, è una storia sulla musica, è una storia sulla perdita, sulle prime volte, è un’espressione del corpo. Abbiamo inserito tutto questo in un cortometraggio e il messaggio non è più un messaggio. Diventa una rappresentazione della realtà dei festival, perché tutti i tour e i festival sono una “continue epoque”.
L’ estate sta arrivando e con essa la stagione eventi estiva, quindi volevamo rendere omaggio ai festival perché rappresentano il momento più importante per noi, in cui abbiamo trascorso tanto tempo (non parliamo del periodo di stop degli anni scorsi) e in cui riscopriamo una magia incredibile perché è un posto dove puoi davvero fare tutto ciò che vuoi.
Rappresenta un luogo di libertà che può essere tutto ciò che vuoi essere, in cui puoi ballare qualunque cosa tu voglia ballare.
È divertente, sai, i festival sono un luogo di ricerca e libertà, quindi Madly è ispirato da questo tipo di grandi festival in particolare all’estetica dei festival underground, perché ci piaceva raccontare l’idea di marginalità. In quei 5 minuti abbiamo condensato tutti questi temi in “Madly”.
Guillaume: Sì, è nato da un nostro amore per alcuni festival. Il carattere underground, il soundsystem, il movimento, tutto il movimento rave techno. Diciamo che questi eventi portano la più grande libertà di questa parte di movimento elettronico.
Clash è una traccia più luminosa, proiettata maggiormente verso la pista da ballo. Questo cambiamento e allontanamento da un certo tipo di vostra nostalgia rappresentano un nuovo spiraglio nella vostra musica?
Guillaume: No, non possiamo definire questa traccia una nuova sperimentazione per la nostra musica. In generale Jungle suona più dance, è un disco più elettronico in un certo senso. In una certa maniera possiamo dire che si colloca in un mondo più techno, ci sono più canzoni che si ispirano alla techno music rispetto a “DanceHall”. Dopo Dancehall siamo stati in tour per tre anni, quindi abbiamo acquisito una certa fiducia e connessione nel suonare in festival pieni di gente.
In “Jungle” abbiamo lavorato sulla nostra musica, proiettiando il nostro live in tutte le sue parti e per questo l’album risulta certamente più legato al dancefloor. È un album più ballabile e Madly è la traccia che rappresenta una rottura in questo tipo di rave techno ma non vogliamo dichiarare un cambio di direzione. Vogliamo solo dire che in questo tipo di movimento c’è una parte della musica elettronica che amiamo, che ci piace suoni in maniera differente.
I temi della nouvelle vague e le ispirazioni del cinema di De Sica come “Ladri di Biciclette” sono tra le vostre referenze cinematografiche del passato. Oggi, quanto la vostra visione è influenzata dal cinema di oggi? Avete qualche ispirazione in particolare?
Jonathan: Penso che non ci sia un riferimento preciso. Mi viene da citare Amelie Poulain poichè in quel film era presente una voce fuori campo e questo è un elemento davvero importante per noi. Per la parte narrativa possiamo citare Euphoria, la serie con Zendaya, perché il processo di composizione è inserito dentro una specifica visione cinematografica.
Lo definirei simbolo sul come raccontare una storia che cambia il punto di vista: un po’ come la differenza tra leggere un libro o avere qualcuno che te lo ha letto. Ovviamente non vogliamo abusare di questo fattore, ma penso che sia il processo della voce fuori campo che è il nostro riferimento preciso di questi film. È più un processo cinematografico che ci ha influenzati che i contenuti stessi.
Per Videocitta il legame tra musica ed immagini è fondamentale, esattamente come nel modo di concepire la vostra arte. Qual è il vostro approccio in tal senso?
Guillaume: lo facciamo perché lavoriamo in questa dimensione. Se lavori la musica e lavori le immagini per i video allo stesso modo, puoi arrivare ad un livello espressivo più “alto”, più forte. Ciò accade se lavori il tutto insieme e non separatamente. Si apre una nuova dimensione quando si lavorano gli elementi insieme. Nella musica elettronica in generale ci sono molte immagini nell’ambientazione, negli show. Noi lo facciamo con un approccio cinematografico che può essere originale.
So che per il vostro lavoro la cosa più importante è fotografare la purezza delle emozioni. Cosa ne pensate del progresso digitale? Per voi che lavorate sull’emozione per rendere umane le stesse vibrazioni del sentire, non avetepaura che questo progresso digitale possa sopraffare la spontaneità delle emozioni?
Guillaume: È una domanda molto difficile. Probabilmente stai parlando dell’IA. Per me è solo un nuovo modo di creare uno show in maniera interessante. Ci sono alcuni artisti che hanno segnato l’inizio di una corrente ed altri la fine di altri tempi, quindi per me l’IA porta solo un nuovo modo di creare guidato dagli esseri umani, come ad esempio l’uso della telecamera nel cinema. Forse un giorno proveremo IA per sapere com’è o magari continuiamo così. Non ne abbiamo paura, lo consideriamo solo un nuovo strumento per comporre. Forse lo proveremo, forse no.
Ultima domanda. Voglio chiedervi se avete qualche progetto in arrivo e quali sono i vostri sogni e progetti per la fine dell’anno?
Guillaume: Sì, stiamo già lavorando ad un nuovo progetto ma è ancora segreto e ne parleremo quando saremo pronti per il rilascio. Quello che vogliamo augurarci da quest’anno è solo fare un passo in avanti, incontrare un nuovo pubblico ed avere nuovi ascoltatori, e che le cose vadano bene.
Grazie ragazzi per il vostro tempo.
Grazie a te, ci vediamo a Roma.
ENGLISH VERSION
The Blaze, a French duo made up of cousins Guillaume and Jonathan Alric, will be among the protagonists of the Roman event Videocittà, from 12 to 16 July at the Gazometro in Rome. Our interview, between reflections on the latest recording effort “Jungle”, the relationship with cinema and constant experimentation in the representation of emotions.
The Blaze is a name that today perfectly decodes the interaction between the arts. In their sound proposal, the musical elaboration comes hand in hand with the visual one. The videos of “Virile” and “Territory” reached the belly of millions of Youtube users, giving life to two artistic figures who were able to present themselves first with their aesthetic vision rather than with their image.
The live shows at Coachella and A Les Plages Eletroniques a few years ago show that desire to escape the maniacal artistic protagonism that has characterized the electronic scene in recent years, to make room for their vision. To music.
Their sound sculpts contrasting emotional layers. “Jungle”, their latest album, was the perfect synthesis of their way of conceiving reality. An album, which compared to “Dancehall” travels towards brighter directions. Danceable rhythms, open synths but also dreamy melodies. The dancefloor becomes the theater in which to set new scenes of the imaginary universe of The Blaze.
The only Italian date (at the moment) of the Paris-based duo will take place within the multidisciplinary setting of Videocittà. We could not miss the opportunity to have a chat with them. A pleasant conversation that opened up new ways of interpreting the colorful and varied world traced by The Blaze. Enjoy the reading!
Welcome to The Blaze, it is a pleasure to have you as our guests. I would like to start this interview by asking you how are you doing and the balance of this last year for you so far?
Guillaume: We’re fine, yes. We are in the departure area because we are touring a lot. We’re traveling a lot this year because the new album “Jungle” has seen the light, so yes, this year has been full of studio work, video, show preparation and many other things. This is beautiful and now summer is upon us.
“Jungle” comes after the huge success of “Dancehall”. When did you realize you were ready for another album? Was this record born spontaneously or did you intend to make it?
Guillaume: The album was born very spontaneously. We started composing this album four or three years ago and we had many, many ideas in structure. You know, we do a lot of different versions of tracks and ended up with like 50 tracks and snippets of unfinished projects. After that we continued to process them and ended up with 10 or 15 tracks that seemed to work, to complete. We knew we had a full album the moment we said, “ok, we’ve got these ten tracks and we’ve built a story.” These ten tracks will lead to an album also because we ended up with ten songs that all sounded in a different style. Each track has its own particularity, its history.
In Jungle society is represented in its current total complexity, enclosing and describing the dynamics of everyday life on an emotional level. The disc musically represents this variety trying to place itself at the crossroads of many of your musical inspirations. How difficult is it to represent your perception of reality so structured in music?
Guillaume: It seemed to me that the process was kind of an abstract process in that it actually comes totally from emotion. When we make music we only use our emotions. We naturally wait for inspiration, it’s closely related to how we feel in reality, after which we translate it into music. It’s impossible to say “Okay, now I want to put my reality into the sound”. Sometimes it happens, sometimes it doesn’t. And, having concluded this process, we also worked for the whole video part and in the video we find the main channel in which to place and insert our vision of reality.
For example, when we made the video for “Dreamer” we talked about immigrants and this rebirth in a particular way, because we wanted to describe the life of this African boy in its entirety, an immigrant or not was not the central question. We just wanted to talk about life in Africa, and maybe the video helps to tell the reality in a more explanatory way and how we personally feel it in our music.
Dreamer starts from the concept of dreams. Today society often marries collective dreams, being rich, leading a comfortable life or having a lifestyle that is presented to us as an ideal while in the video the dream takes on a dimension of daily happiness for you. What is dreaming for you and how important is dreaming in music? What would dream a musician now?
Guillaume: It’s a good question, but it’s difficult to answer. I don’t know, maybe a musician’s dream is just to make music and share it with the public, because often you make music just for yourself. I think when you share it maybe you feel less alone. Sharing your musical world and seeing people love and share the same emotions with you is a sort of sharing of love and I would define it as an epiphanic sensation. I don’t know, maybe this is the real dream.
Jonathan: There is also something that connects the artist to the time he lives in when you make art, make music. You want to do something that stays after you and after you die. It makes me think of Beethoven when he composed the 9th Symphony, to think that he has overcome the barriers of time. I think this is every musician’s dream: to make music that’s important like Beethoven or Romanoff or other artists. Personally, when we make music it’s not for this, but to experience a sort of purification. It’s not about premeditation but it’s like a need.
Madly’s video came out last week and you described it as a story accompanied by a soundtrack. What is the message behind this video?
Jonathan: I think it’s the first time we don’t have a message behind the writing. We wanted (and it’s important to us) to do something different than what we’ve done in previous music videos, because it’s fundamental to experiment and do something else. I think for this music video we worked more like a real film, and we wanted to have a more cinematic approach, based on our way of conceiving videos. There is also a certain poetry surrounding this story.
It’s about a boy dusting himself off, it’s a story about music, it’s a story about loss, about firsts, it’s an expression of the body. We put all of this into a short film and the message is no longer a message. It becomes a representation of the reality of festivals, because all tours and festivals are a “continue epoque”.
Summer is coming with events’ season, so we wanted to say thanks to festivals because they represent the most important moment for us, where we have spent so much time (let’s not talk about the stop period of the past years) and the festival has a magic amazing because it’s a place where you can really do whatever you want. It represents a place of freedom that can be anything you want to be, where you can dance whatever you want to dance.
It’s funny, you know, festivals are a place of research and freedom, so Madly is inspired by these kind of big festivals especially the aesthetics of underground festivals, because we liked to talk about the idea of marginality. In those 5 minutes we condensed all these themes into “Madly”.
Guillaume: Yes, it was born out of our love for some festivals. The underground character, the soundsystem, the movement, the whole techno rave movement. Let’s say that these events bring the greatest freedom of this electronic movement part.
Clash is a brighter track, leaning more towards the dance floor. Does this change and departure from a certain kind of your nostalgia represent a new window in your music?
Guillaume: No, we can’t define this track as a new experimentation for our music. In general Jungle sounds more dance, it’s a more electronic record in a way. In a certain way we can say that it is placed in a more techno world, there are more songs inspired by techno music than “DanceHall”. After Dancehall we toured for three years so we gained some confidence and connection playing to packed festivals.
In “Jungle” we worked on our music, projecting our live in all its parts and for this reason the album is certainly more linked to the dancefloor. It’s a more danceable album and Madly is the track that represents a break in this kind of techno rave but we don’t want to declare a change of direction. We just want to say that in this type of movement there is a part of electronic music that we love, that we like to play differently.
The themes of the nouvelle vague and the inspirations of De Sica’s cinema such as “Bicycle Thieves” are among your cinematic references from the past. Today, how much is your vision influenced by today’s cinema? Do you have any particular inspiration?
Jonathan: I think there is no precise reference. I feel like quoting Amelie Poulain because there was a voice-over in that film and this is a really important element for us. For the narrative part we can mention Euphoria, the series with Zendaya, because the composition process is inserted into a specific cinematic vision. I would define it as a symbol of how to tell a story that changes the point of view: a bit like the difference between reading a book or having someone read it to you. Obviously we don’t want to overuse this factor, but I think it’s the voice-over process that is our precise reference of these films. It is more a cinematic process that has influenced us than the contents themselves.
For Videocitta the connection beetween music and images Is really important in the same way that you Have to create your art. How Is your approach in this sense?
Guillaume: We do it because we work in this dimension. If you work the music and the images in the video in the same way, you can reach a “higher”, stronger level of expression. This happens if you work it all together and not separately. A new dimension opens up when you work the elements together. In electronic music in general there are many images in backgrounds, in shows. We do it with a cinematic approach that can be original.
I know that for your work the most important thing is to photograph the purity of the emotions. What do you think of digital progress? For you who work on emotion to make the very vibrations of feeling human, aren’t you afraid that this digital progress could overwhelm the spontaneity of emotions?
Guillaume: It’s a very difficult question. You are probably talking about AI. For me it’s just a new way to make a show in an interesting way. There are some artists who have marked the beginning of a current and others the end of times, so for me AI just brings a new way of creating led by human beings, such as the use of the camera in cinema for example. Maybe one day we’ll try AI to see what it’s like or maybe we’ll keep it that way. We are not afraid of it, we just consider it a new tool for composing. Maybe we’ll try it, maybe not.
Last question. I want to ask you if you have any upcoming projects and what are your dreams and plans for the end of the year?
Guillaume: Yes, we are already working on a new project but it is still secret and we will talk about it when we are ready for release. What we want to wish for this year is just to take a step forward, meet a new audience and have new listeners, and that things go well.
Thanks guys for your time.
Thanks to you, see you in Rome.