Rimettersi in gioco è sempre una mossa importante per un artista e Joris Voorn ha ponderato la decisione a lungo. Dopo sette anni infatti l’artista olandese torna sul lungo formato, dopo l’ultimo album From A Deep place risalente al 2007. Nel mentre ovviamente Joris non si è di certo riposato sugli allori continuando a pubblicare materiale dove spiccano Sweep The Floor, anthem nell’estate di 2009 e soprattutto il suo mix Balance 14, un centinaio di tracce unite in una matassa quasi indistinguibile e formidabile.
Nobody Knows è in uscita questi giorni per la sua Green Records che ha accolto i suoi lavori più recenti e un primo assaggio c’era già stato dato un annetto fa, con la traccia Ringo.
Singolo anticipatore dell’album che in qualche modo fa da stilema a tutto questo nuovo lavoro: intenzioni ritmiche decise ma cullate, mai prepotenti, una specie di Ibiza edulcorata di festa; un’impronta teutonica vicina al sound alla Kalkbrenner e soprattutto una forte emotività di fondo che svela territori inesplorati dall’artista.
Se infatti i precedenti due album avevano in copertina uno scorcio, se non cittadino per lo meno artificiale, questa volta ci accoglie un paesaggio fra il marziano e il brullo, decretando l’intenzione da parte di Joris di voler lavorare su una personale idea di natura. Un viaggio quindi che inizia con The Monk. Una traccia rarefatta, lontana da psicologie da club dove sitar arabi e pad dipanano una tensione che respira, si accumula e si rilascia fino a svanire nel silenzio. Si sentono spesso lungo l’album chitarre al contrario e bolle di suono che si ricompattano cercando una propria origine.
Lo stesso verrebbe da dire per Joris, che sembra ricercare un punto di arrivo nei diversi scenari da lui delineati: Mugged è tribale, calda e molto vicina ai suoi vecchi lavori;
Fall si muove un tripudio di vita, di particelle e bolle, un risveglio della terra dove il paesaggio si anima e balla, Left è field recording e pace interiore, raggiungendo picchi di gioia vicini a MoMo, versione alternativa di Ringo.
Lungo il percorso, ma in disparte, come a fare da voce narrante troviamo Homeland, con Matthew Dear al microfono. Un pezzo che comincia con richiami sciamanici e poi esplode in un intreccio di percussioni di casa Dear mentre il cantato si fa grave, fra il folk, il vissuto e lo snaturato arrivando così ad un finale estatico e liberatorio e facendone una delle migliori tracce dell’album.
Altra collaborazione è quella di Kid A, produttrice già ascoltata per Fantastic Mr Fox e Throwing Snow. E se nella prima traccia, A House c’è una vena malinconica e una drammaticità cattedrale grazie anche alla voce Bjorkesca della cantanta, So long invece dall’altra parte più dolce e spigliata, il cantato è caldo, un enorme abbraccio etereo e rassicurante. Passando poi lungo momenti meno memorabili come le semplici note di Sweets For Piano e l’oceano imperfetto di The Wild il disco si chiude con Dust, azzeccato finale da dormiveglia.
Joris Voorn ci regala un lavoro inedito a metà fra il culmine di tutta una carriera o un inizio del tutto nuovo, lanciando visioni sul mondo esterno ma allo stesso tempo lavorando sulla propria interiorità. Solo il tempo saprà dirci se la scelta è stata quella giusta. Noi intanto, ci godiamo il viaggio.
Tracklist
01. The Monk
02. A House feat. Kid A
03. Homeland feat. Matthew Dear
04. The Wild
05. Sweets For Piano
06. So Long feat. Kid A
07. Ringo
08. Mugged
09. MoMo
10. Fall
11. Left
12. Dust feat. Bram Stadhouders
Lualpit