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Francesco Campobasso racconta a Parkett la strada che l’ha portato a dare vita a Vesuvius Soul Records, il negozio di dischi e party napoletano che dal 2017 ha ridefinito i termini della scena elettronica internazionale.

La prima volta che sono stata a un party Vesuvius Soul Records ho pensato “Fra non deve mai smettere di fare una cosa nella vita. Le feste.” Penso di averglielo anche detto. Oggi, dopo sette anni di negozio nel cuore pulsante di Napoli e sei di feste ai piedi del Vesuvio, Francesco Campobasso, proprietario e organizzatore di Vesuvius Soul Records, ha una visione sempre più chiara e definita di quello che vuole per lui, per il suo brand e per la sua amata Napoli. 

La difficoltà di far conciliare il puro e sano amore per la musica, con uno spazio e un territorio che difficilmente concepisce questo bisogno, non ha mai scoraggiato le anime che alimentano il fuoco di Vesuvius Soul Records. La passione per la musica è ciò che ha fatto muovere i primi passi nel mondo dell’elettronica a Francesco nel lontano 2006, ma sono i principi e i valori di un’unione priva di pregiudizi e preconcetti sotto il segno di una subcultura che vuole resistere che lo spingono, ancora oggi, a fare la differenza nella scena italiana e internazionale. 

Vesuvius Soul Records, negli anni, ha tracciato una linea di demarcazione netta tra quella che è la scena elettronica instagrammabile (ndr), e quella che è la vera dedizione e passione per un lavoro volto a far “semplicemente” stare bene le persone che partecipano al tuo party.

Se lo scopo di creare un momento di aggregazione va oltre il mero guadagno e la mera resa estetica, se l’emozione che si crea in una pista, di fronte ai migliori dj del panorama internazionale, è palpabile, allora puoi dire di aver fatto non solo un ottimo lavoro, ma di aver creato un ricordo indelebile nella mente di chi ha partecipato.

Che sia esso parte del pubblico, un artista, o parte del team che ha dato vita a tutto questo. Spesso, però, basta davvero poco per farsi guidare dalle emozioni che dominano il dietro le quinte.

In questa intervista Francesco ci parla di queste sensazioni, di quello che è stato il suo percorso fino a qui oggi, e dell’origine e dell’impatto sociale che ha avuto e che continua ad avere Vesuvius Soul Records sulla scena elettronica napoletana, ma anche più semplicemente su tutta la popolazione della città. Riprendersi spazi di tutti, tolti senza motivo, che non dovrebbero avere padroni, renderli sicuri e aperti a chiunque abbia bisogno di trovare nella musica una risposta, o semplicemente una compagna. Questo è Vesuvius Soul Records.

Quando ho chiesto un podcast a Francesco per raccontare la sua storia e quella di Vesuvius, mi ha risposto che avrebbe fatto una selezione di tutte le tracce che hanno cambiato la sua vita e che l’hanno portato qui oggi. Ho provato a riscrivere la definizione diverse volte di quello che ne è emerso, ma secondo me, la migliore è uscita dalla sua bocca, dopo che gli ho chiesto se avesse piacere che emergesse qualcosa in particolare nella descrizione della selezione:

“Non è un podcast studiato davvero, ma registrato live mentre bevevamo un decotto ai funghi, nello studio dei miei amici di Ecotono. Inoltre vorrei si facesse capire che è la musica che ascolto tutti i giorni, da quando ho quattordici anni.”

Iniziamo con qualcosa di semplice. Come è nato Vesuvius Soul Records e da dove arriva la necessità di portare a Napoli questo tipo di realtà? Ti andrebbe di raccontarci qualcosa in più riguardo gli spazi in cui si trova lo store?

Ho sempre concepito la musica un elemento fondamentale per lo sviluppo culturale di ogni individuo; un bisogno, seppur non primario, ma essenziale a ognuno. Questa visione della musica assorbita dai diversi spazi che ho attraversato nella mia vita, ha fatto sì io avessi da sempre l’esigenza di creare degli incontri di aggregazione dove la musica diventasse il collante sociale. Infatti, già nel 2006, ho iniziato a produrre eventi di musica elettronica con la mia crew di allora Wozzup!?, si faceva musica french touch e nu disco.

In quegli anni, a Napoli, il fermento nella scena underground era palpabile, la città dormiva poco e si poteva ascoltare musica elettronica di ottima qualità dal lunedì alla domenica. Tante erano le nuove organizzazioni che alimentavano la scena insieme a noi, come Alive, Le Simpatiche Canaglie, Minimalismi, Party Under Construction e Short Circuit per citarne alcune.

Mi piace ricordare la Napoli di quegli anni un po’ come una piccola Londra, il centro storico brulicava di club, si entrava e usciva da un party all’altro fino alle otto del mattino, cosa purtroppo impensabile oggi. Inimmaginabile di questi tempi perché ormai questa città è diventata salotto per turisti – questo è un altro argomento importante che si dovrebbe affrontare, per me una delle motivazioni che hanno portato all’appiattimento culturale della mia città, ma ci vorrebbe un’intera intervista.

Negli anni che precedevano il 2018, mese dopo mese, ci siamo visti chiudere tutti quei posti dove era possibile fare l’alba distraendosi dal logorio della vita moderna. Vesuvius Soul Records si è collocato proprio in quella rottura, per ridarci uno spazio accessibile a tutte e tutti, dove poter ascoltare musica e confrontarci, creare connessioni e divertirci senza quella fretta che l’attuale società quasi ci impone.

La scelta del posto inizialmente è stata dettata da una questione economica, mi serviva trovare un immobile che non avesse un affitto elevatissimo e per questo ho scelto il decumano del mare, che fra gli altri era quello meno turisticizzato.

Nel 2017 (non tutti sanno che, in realtà, è da quell’anno che è nato Vesuvius Soul Records) apro questo spazio che inizialmente era un’associazione culturale, in un vicolo quasi abbandonato, che puzzava di piscio e merda di cane, dove l’incolumità dei passanti non era assicurata. Quindi, prima per una questione economica, poi per il principio personale di ridare vita a una strada dimenticata dal padreterno. In parte ci siamo riusciti perché nelle vicinanze, negli anni, si sono aperte altre attività e chi abita il quartiere può viversi meglio quella strada. Il percorso è ancora lungo, ma continueremo a dare il nostro contributo.

Il vostro logo ha un significato potente e un riferimento esplicito alla scena Nothern Soul. Quali sono i valori che stanno dietro a questa identità e quanto influiscono nel modo in cui fate le cose, oggi?

La scena Northern Soul era come l’ottava meraviglia del mondo. Se guardavi al depresso Nord dell’Inghilterra, non c’era molto a parte acciaierie e miniere di carbone. C’erano persone che facevano questo lavoro noioso e ripetitivo durante la settimana. Un impiego massacrante. E quando uscivano il weekend, volevano uscire davvero. Stare al pub fino alle undici non era assolutamente sufficiente. Una montagna di gente che sbarellava, ballava musica martellante e aveva un atteggiamento positivo.

L’elettronica è il Northern Soul di questa generazione. Ma il Northern Soul fu realmente rivoluzionario, perché ben quindici anni prima che la rave culture facesse la sua comparsa, fornì un modello pressoché completo. Una scena dove giovani proletari si ritrovano in massa, percorrendo grandi distanze per raggiungere posti sconosciuti, ballare musica di cui non fregava a nessun altro ingerendo numerose pasticche di anfetamine. Una scena dove lo spirito di solidarietà, senso di appartenenza, rivincita sociale e condivisione di pratiche comuni, erano la chiave di tutto.

Il logo di Vesuvius Soul Records è di fatto un omaggio a questo movimento controculturale che mi ha trasmesso valori e principi sui quali si fonde la mia filosofia di vita e di conseguenza del brand. Aggregazione, solidarietà, senso di appartenenza, collettività sono per me il fulcro di ogni relazione umana e per questo ho cercato di ricreare, attraverso il mio progetto, uno spazio fondato su questi principi imprescindibili.

Dopo quanto tempo è sorta l’idea di creare la label e perché?

L’idea della label è sempre esistita, già dal nome del brand si poteva presagire che il passo successivo l’apertura del negozio sarebbe stata l’etichetta. Uno dei nostri obiettivi, con lo store, è creare una vetrina sul mondo per i tanti artisti talentuosi che nella vastità del mercato musicale non hanno trovato ancora spazio per esprimersi.

Ho sempre saputo che per dare visibilità a chi fa musica non potevo limitarmi ai party che, seppur fondamentali, occupano un un tempo ben definito, mentre il disco ha una vita materiale ben più lunga e forse anche eterna. Lasciando un segno indelebile delle capacità artistiche di un produttore.

Aprire un negozio di dischi, oggi come sei anni fa, denota una visione coraggiosa in un mondo sempre più orientato al digitale o all’acquisto online, oltre che un’incredibile passione e dedizione per il mondo della musica. Come vedi l’evoluzione dell’e-commerce per il mondo dei vinili e della musica in digitale nei prossimi dieci anni?

Il disco è di per sé un oggetto romantico, un supporto fisico che dà continuità alla musica. Oltre i confini, oltre le epoche, oltre le mode, resta negli scaffali delle case dei collezionisti. Passa di collezione in collezione, di casa in casa, di epoca in epoca e, mentre tutto attorno si evolve, lui resta lì immutato, continuando a suscitare emozioni in chi lo possiede in quel momento.

Questo immaginario, che chiamo “la vita del disco”, mi ha sempre affascinato. Penso spesso al percorso che ha fatto per arrivare nelle mie mani, chi lo possedeva prima di me e dove l’aveva trovato, in quale casa “viveva” prima della mia e quali emozioni aveva regalato. Ogni disco ha una sua storia fisica che lo rende speciale e, per mantenere viva questa magia, servono i negozi di dischi.

Anche se il mondo va di fretta e bisogna necessariamente stare al passo coi tempi, seguendo l’evoluzione degli strumenti di vendita del proprio business, i luoghi di confronto e crescita culturale come i negozi di dischi devono continuare a resistere ed esistere.

Sarebbe ipocrita dire che non pensiamo agli incassi e viviamo solo di magia; purtroppo, non è così. Anche Vesuvius Soul Records si sta aprendo alle vendite online, come è giusto che sia. Stiamo creando il nostro e-commerce (con i nostri tempi), così riusciremo a resistere ai cambiamenti del mercato e questo ci permetterà di esistere ancora come spazio sul territorio.

Ci ho messo un po’ per arrivare a concepire anche la vendita online; avevo paura che il negozio fisico non avesse più senso di esistere, ma fortunatamente non è così. Attorno al nostro spazio gravitano così tante persone che hanno sete di condivisione e di musica che ho capito che l’e-commerce sarebbe stato solo un’estensione di vendita del negozio.

Continueremo a dare il nostro contributo, offrendo agli artisti la possibilità di esprimersi, ai clienti di ascoltare e parlare di musica, e alle persone del quartiere un luogo dove divertirsi e conoscere nuove persone; queste sono le cose più importanti. La musica, in formato digitale o in vinile, non ha importanza per me, purché sia ottima musica ed emozioni. È una questione di scelte ed ognuno è libero di suonare ciò che vuole e come vuole. P.s. non capisco molto, però, quelli che acquistano le tracce in digitale e poi si stampano i dubplates senza neanche farci un edit, lasciandole così come sono. 

Le difficoltà di avere un party – soprattutto della portata di Vesuvius (in rif. agli allestimenti e alle line up mai banali) – in Italia, oggi, è notevole. Quali sono gli scogli contro i quali ti sei imbattuto, sia durante la creazione che l’esecuzione, in questi sei anni? In cosa hai potuto vedere dei miglioramenti e in cosa dei peggioramenti?

Creare eventi è sempre stato fondamentale per me; sono una di quelle persone che, per stare bene, ha bisogno di creare, altrimenti si sente incompleta. Tutto è iniziato quasi per gioco, come nelle migliori storie d’amore. Ho dedicato a questo percorso i miei anni migliori, ricevendo in cambio tanti amici, sorrisi, soddisfazioni professionali e tanti contatti, che in questo lavoro sono tutto.

Per chi se lo stesse chiedendo, non ho fatto nessun percorso universitario per apprendere quello che so. Quando ho cominciato, in Italia non c’erano molte possibilità per studiare in questo campo. All’epoca, l’unica opzione era lo IED, ma non potevo permettermelo. Tutto ciò che sono lo devo al tempo, alle persone che ho incontrato lungo la mia strada e alla mia passione, che metto in ogni cosa che faccio.

L’evoluzione di Vesuvius Soul Records è legata al periodo storico che stavamo e stiamo vivendo, di totale appiattimento culturale. Vesuvius Soul Records è stata la scintilla che ha risvegliato le coscienze di ragazze e ragazzi, me incluso.

I primi due anni di feste VSR li abbiamo organizzati su un molo in mezzo al mare, in modo illegale, per divertirci e per riprenderci spazi della città che dovrebbero essere accessibili a tutti, senza dover chiedere il permesso a nessuno. Lo facevamo con sudore, fatica, rischiando il sequestro delle attrezzature e denunce, ma sempre con il sorriso, perché l’unica cosa che ci interessava era divertirci, ascoltando quella che per noi era la musica migliore in circolazione in quel momento, con il Vesuvio sullo sfondo. Una festa inclusiva per davvero, senza distinzione di classe, etnia e sesso. Concetti tutt’oggi imprescindibili che sono la base per la realizzazione di ogni nostro evento. Chi ci conosce, sa da che parte stiamo!

Il resto è arrivato in modo naturale, senza che me ne rendessi neanche conto. Il brand ha iniziato a essere riconosciuto anche al di fuori dei confini italiani, grazie a tutte le persone che hanno attraversato lo spazio dando il loro contributo, anche solo morale e soprattutto a chi ha collaborato con noi e continua a farlo.

Ha giocato un ruolo importante, credo, anche il mio carattere maniacale e perfezionista sul lavoro. Tuttavia, questa dedizione estrema mi ha portato a un punto in cui non mi divertivo e non mi diverto più. Il vero ostacolo, infatti, per chi svolge questo lavoro è non perdere mai l’entusiasmo. Tutto il resto è superabile, basta avere una mentalità da problem solver e tanta forza di volontà.

A questo proposito, ti va di darci una tua personale visione relativa alla scena underground di Napoli? Nel caso credi possa evolversi, come credi che ciò avverrà?

Napoli e altre città campane sono, come sempre, in continuo fermento. Molte realtà sono nate, e ognuna di esse deve esprimere la propria visione della musica perché è fondamentale per dare energia al movimento. In questo momento, essendo realtà nate da poco, spero dedichino più tempo a divertirsi, sperimentare, andare oltre gli schemi senza paura.

I numeri, gli incassi, la fama non devono essere mai gli obiettivi per fare un buon prodotto; il resto verrà da sé. Chi crea con passione e amore vince sempre, mentre chi si limita a cavalcare l’onda prima o poi finirà per affondare. L’evoluzione risiede nell’unione e nel rispetto reciproco, e so per certo che nel movimento campano c’è chi ha a cuore questi valori. Loro – sanno di chi parlo – rappresenteranno la futura scena.

Per quanto riguarda invece la scena elettronica underground attuale, come ritieni sia cambiata negli anni e pensi ci siano spazi di crescita nel prossimo futuro?

Prima di tutto, bisognerebbe capire il significato che oggi viene attribuito al termine underground. Non si tratta solo di una parola, ma di un concetto che affonda le sue radici nelle controculture giovanili che sono dei movimenti che provengono dal basso. Una forma di opposizione culturale al sistema imperante. Fin quando non ci sarà questa concezione della scena, non possiamo definirla tale. Sono ancora poche le realtà in Italia, a parer mio, ad avere questa visione. 

Per me underground è attitudine. È l’espressione di un’ideale, una visione del mondo che rifiuta l’omologazione, preferendo camminare su strade meno battute, lontani dalla conformità e dal consumismo di massa. 

Non si tratta solo di gusti musicali o scelte stilistiche, ma di un vero e proprio stile di vita. Come direbbe qualche buon amico skin: “a way of life”.

Quali sono i progetti per il futuro di Vesuvius Soul Records? Se ti va, svelaci qualche piccola anticipazione su quelli che sono i piani per i prossimi mesi e/o anni.

Rallentare per non essere vittima del capitalismo e godermi la musica, in tutte le sue sfumature.